Editoriale

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Capita, talvolta, per dire che si è alle prese con qualcosa di molto serio, di imbattersi in espressioni del tipo: “Qui non siamo mica al Grest...”. Niente di più sbagliato e fuorviante perché c’è Grest e Grest. Prendiamo, per esempio, una parrocchia di piccole dimensioni, attorno ai mille abitanti, che si ritrova per un mese un centinaio di bambini e ragazzi accompagnati da una cinquantina di animatori nell’età dell’adolescenza che condividono la giornata dalle 8 fino alle 17 con vari momenti di preghiera, compiti, giochi, lavoretti, teatro, ballo..., il pranzo insieme e naturalmente la doverosa appendice serale con le famiglie. Aggiungiamo infine l’appuntamento della celebrazione della Messa domenicale dove invece dei soliti “quattro gatti” che sono rimasti a casa dal mare o dai monti ti ritrovi la chiesa gremita come a Natale...

Se la Grecia è madre dell’Europa, la figlia non rischia solo di rimanere orfana. Rischia ben di più. Nel 2004 a Monaco un insolito confronto fra il filosofo Habermas e il teologo Ratzinger pose a tema la domanda: che cosa tiene insieme una comunità composta da una pluralità di culture, tradizioni, religioni, lingue diverse? Se uno dei compiti di questo giornale è suscitare domande e “dar da pensare”, a più di dieci anni di distanza la questione rimane pertinente e di grande attualità: che cosa tiene insieme l’Unione Europea? A parte le liti e gli accordi ambigui per non dire indecenti sull’immigrazione, la vicenda del rapporto tra Grecia e Unione Europea è emblematica nel disegnare lo stato delle relazioni del vecchio continente...

La Grecia economicamente ridotta a gambe all’aria, con conseguenze non solo sui suoi abitanti che non possono neppure disporre come vorrebbero dei propri soldi depositati nelle banche, ma anche sui nostri conti, visto il debito ellenico verso l’Italia che varia dai 40 ai 65 miliardi, secondo che vengano considerate o meno alcune variabili quali il fondo salva Stati e la liquidità di emergenza concessa agli istituti bancari greci. Con scarse speranze che quanto dovuto venga prima o poi rimborsato...

“La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi”. Così papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ (n. 123) presenta quella che è pure solito definire come “la cultura dello scarto”, tema che, come altri, sta passando non ingenuamente sotto silenzio...

È davvero strano questo Paese nel quale ci è dato di vivere generalmente bene, o quantomeno discretamente (se la corruzione non fosse così diffusa e le tasse così elevate, mannaggia!). Strano perché se da un lato sull’incremento dei flussi migratori via mare si scatenano battaglie politiche interne tra partiti ed esterne con gli Stati membri di un’Unione Europea sempre più simile ad un palloncino acquistato gonfio alla fiera e ripreso in mano floscio dopo tre giorni, dall’altro non si fa una piega dinanzi ai dati dell’Istat che ci assegnano un record poco invidiabile...

Ci mancava il braccio di ferro tra governo e governatori di Lombardia, Veneto e Liguria (tre regioni guidate dal centrodestra) ad arroventare il clima politico e a spargere altra benzina sul dramma dell’immigrazione. Lo chiamo in questo modo perché non riesco a convincermi che decine di migliaia di persone partano dalla propria terra, rischino la vita, si svenino economicamente arrivando ad indebitare le proprie famiglie, si mettano in mano a moderni schiavisti su rottami a forma di barca soltanto per vedere l’effetto che fa e se viene qualche anima buona a recuperarli...

Il segreto per lo studente desideroso di arrivare a settembre riposato ma non ridotto intellettualmente ad una tabula rasa è uno solo: prepararsi un piccolo programma di massima che preveda per cinque giorni alla settimana – eccettuate le vacanze fuori casa – qualche esercizio giornaliero delle diverse materie e sempre un po’ di lettura. Dannarsi per completare i compiti entro giugno, così una volta fatti non ci si pensa più, oppure spassarsela fino a fine agosto per poi sprintare negli ultimi dieci giorni nel tentativo vano di recuperare il tempo perduto, risulta semplicemente inutile. Meglio una sana ripartizione del carico di lavoro. Sperando anche nella clemenza degli insegnanti, perché in fondo è estate per tutti.

Guai a chi se ne infischia: si tira la zappa sui piedi. Astenersi dal voto, questa domenica, è la grande tentazione. Ma è anche il grande errore! È facile prevedere che ci sarà un calo di affluenza: la disaffezione aumenta e la gente è stanca di politica. Si sentono risuonare forte gli stereotipi: «I politici? Rubano. Trafficano. Sono tutti uguali. Fanno i propri interessi...». Conseguenza: «Domenica 31 non vado a votare»...

Si è posto con la consueta semplicità quale vescovo tra i confratelli riuniti in assemblea per verificare la ricezione dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Ha rivolto loro un discorso durato poco più di dieci minuti (o, se preferite, lungo meno di un quinto rispetto al testo della prolusione del giorno seguente del cardinale Bagnasco), che comprendeva tre citazioni soltanto: due iniziali dalla Bibbia e una, conclusiva, dalla sua omelia del 13 marzo scorso quando annunciò l’indizione del Giubileo della Misericordia. Quindi si è messo a dialogare con i vescovi, a porte chiuse, senza neppure la presenza consueta dei direttori degli uffici nazionali della Conferenza episcopale italiana. Così papa Francesco, il Vescovo di Roma, all’incontro di lunedì scorso con l’episcopato italiano riunito in Vaticano...

Se provassimo a dare uno sguardo a tutto ciò che il mondo dell’informazione racconta sulla famiglia, ne usciremmo sconsolati: dissidi e divisioni che talora diventano tragedie dai contorni inestricabili sono all’ordine del giorno. Se è vero come è vero che fa più rumore l’albero che cade rispetto alla foresta che cresce, della famiglia abbiamo una descrizione il più delle volte patologica. Certamente non si possono negare i limiti e le fragilità delle quali non tanto l’istituto famigliare in sé ma piuttosto coloro che lo compongono sono portatori, ma sarebbe riduttivo e fuorviante se per comprendere la comunità posta alla base della nostra società, ci limitassimo a leggerne le vicende e i risvolti alla luce della cronaca nera o del numero di divorzi e separazioni.