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Per ritrovare la via del discernimento comunitario

Mentre gran parte del mondo dell’informazione era impegnata in pressing sulle questioni delle unioni omosessuali e della comunione ai divorziati risposati, quasi fossero gli unici temi da affrontare in tre settimane di lavori sinodali sulla famiglia, papa Francesco ci riportava alla realtà delle cose. Quella che troppo facilmente si rischia di perdere di vista per concentrarsi magari su qualche incresciosa situazione artatamente fatta brillare (nel senso di esplodere) al momento opportuno nel compiacente barnum mediatico.

Parole chiave: Editoriale (407), Alberto Margoni (64), Sinodo (11)

Mentre gran parte del mondo dell’informazione era impegnata in pressing sulle questioni delle unioni omosessuali e della comunione ai divorziati risposati, quasi fossero gli unici temi da affrontare in tre settimane di lavori sinodali sulla famiglia, papa Francesco ci riportava alla realtà delle cose. Quella che troppo facilmente si rischia di perdere di vista per concentrarsi magari su qualche incresciosa situazione artatamente fatta brillare (nel senso di esplodere) al momento opportuno nel compiacente barnum mediatico.
«Vorrei ricordare che il Sinodo non è un convegno o un “parlatorio”, non è un parlamento o un senato, dove ci si mette d’accordo. Il Sinodo, invece, è un’espressione ecclesiale, cioè è la Chiesa che cammina insieme per leggere la realtà con gli occhi della fede e con il cuore di Dio; è la Chiesa che si interroga sulla sua fedeltà al deposito della fede, che per essa non rappresenta un museo da guardare e nemmeno solo da salvaguardare, ma è una fonte viva alla quale la Chiesa si disseta per dissetare e illuminare il deposito della vita». A uno sguardo superficiale l’annotazione di Francesco potrebbe sembrare una mera questione di metodo, mentre in realtà è di sostanza, in quanto va alla radice, al cuore della questione. E penso meriti di essere ripresa e meditata, non solo perché ribadita per ben due volte nella medesima circostanza, ovvero la prima congregazione generale del Sinodo, ma in quanto ritengo si possa applicare a tutti gli organismi di partecipazione ecclesiale, in primis i consigli pastorali. Quante volte corrono il rischio di ridursi ad essere dei parlamentini dove si parla, si parla e non solo si conclude assai poco, ma magari neppure ci si ascolta, preoccupati soltanto di mettere in luce quanto fa il proprio gruppo, nella sottile convinzione di contare di più e di operare meglio degli altri. Oppure si riducono ad essere degli incontri di pura e semplice comunicazione e organizzazione di attività e celebrazioni già fissate. Se poi a questo si aggiunge la notazione del parroco che ricorda una volta sì e l’altra pure che il consiglio pastorale ha solo un ruolo consultivo, la voglia è quella di tornare a casa, mettersi davanti alla tv e chi s’è visto, s’è visto.
Per dare nuovo impulso a questi organismi che, non nascondiamocelo, attraversano ad ogni livello una fase di stanca, penso sia importante che recuperino la dimensione divenuta desueta ma quanto mai urgente del discernimento comunitario. Ovvero quella capacità di guardare alla situazione, di interpretarla con sapienza e di individuare delle prospettive, non anteponendo categorie sociologiche e mondane, ma lasciando spazio prima di tutto all’azione dello Spirito Santo «per leggere la realtà con gli occhi della fede e con il cuore di Dio». E il Papa ha ricordato ai padri sinodali che perché questo avvenga occorrono «coraggio apostolico, umiltà evangelica e orazione fiduciosa». Ovvero il non prendere paura di ciò che non va, delle «seduzioni del mondo, che tendono a spegnere nel cuore degli uomini la luce della verità sostituendola con piccole e temporanee luci»; la disponibilità a «svuotarsi dalle proprie convenzioni e pregiudizi per ascoltare i fratelli e riempirsi di Dio»; la preghiera come azione del cuore aperto a Dio «che parla nel silenzio», come ascolto di Dio senza il quale le nostre diventano solo parole vuote.
Con queste disposizioni, con tale apertura d’animo sarà lo Spirito Santo a creare il consenso «per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime» e anche i nostri “chiodi fissi”, che talvolta rischiano di essere solo delle personali ossessioni, troveranno la loro opportuna collocazione.

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