Editoriale
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Una vendemmia può dare frutti di comunione

Quest’anno si può brindare ad una vendemmia eccezionale per la maggioranza delle nostre aziende vitivinicole. È un luogo comune che i contadini non si allargano mai con le dichiarazioni entusiastiche e talvolta sono più inclini al pianto che alle escandescenze festose; eppure una stagione come il 2015 verrà scritta negli annali come memorabile e, Dio non voglia, irripetibile per la quantità e la qualità delle uve e dei vini...

Parole chiave: Editoriale (407), Stefano Origano (141)

Quest’anno si può brindare ad una vendemmia eccezionale per la maggioranza delle nostre aziende vitivinicole. È un luogo comune che i contadini non si allargano mai con le dichiarazioni entusiastiche e talvolta sono più inclini al pianto che alle escandescenze festose; eppure una stagione come il 2015 verrà scritta negli annali come memorabile e, Dio non voglia, irripetibile per la quantità e la qualità delle uve e dei vini. C’è dunque di che rallegrarsi, magari in modo moderato, per una stagione che ripaga delle amarezze di quella passata e dà una boccata di ossigeno ad un comparto che comunque è la locomotiva trainante della nostra economia. Questa è una bella notizia, ma ce n’è un’altra per me ancora più bella. Un amico conosciuto in Coldiretti mi ha confidato che nel suo vigneto, che non è nemmeno dotato di impianto di irrigazione, i grappoli sembravano appiccicati alle viti direttamente dalle mani del buon Dio. Mai visto in vita tanta uva e così bella! Iniziata la vendemmia, prima è stato fatto il raccolto con le tipiche cassettine per fare Recioto e Amarone; esaurite tutte (ed erano un bilico), c’era ancora uva e allora è proseguita la raccolta con i brentoni. Raggiunta anche la quantità massima prevista per la consegna alla cantina sociale, ce n’era ancora... Sembrava non finire mai. E allora è sorto un problema: cosa fare con l’uva in più?«Il problema è stato risolto in un istante – mi ha detto con gli occhi pieni di gioia l’agricoltore –: una telefonata ad un amico che ha una azienda come la mia ma in una vallata diversa dove la grandine ha battuto pesantemente: vieni a raccogliere un po’ di uva, noi non ce la facciamo più, quest’anno è troppa. Questo raccolto era un segno di benevolenza del cielo per me e la mia famiglia, ma io l’ho interpretato...
come una prova del Signore. Per noi il raccolto era superiore alle attese, era giusto condividerlo con chi invece doveva tirare la cinghia».Dove sta il bello? Non nel gesto di elemosina o di pietà, ma nella decisione immediata come per un atto dovuto. Dovrebbe essere una cosa naturale, naturalmente per chi crede che esistano dei doveri di questo tipo, non scritti in qualche codice, ma incisi nel cuore. «E poi abbiamo fatto la classica galzega tutti insieme, perché come dite voi preti: tutti i salmi finiscono in gloria». Qualcuno un po’ cinicamente potrebbe osservare che quando abbiamo la pancia piena e non ce ne sta più, è facile fare i generosi e così metterci la coscienza in pace; diverso sarebbe se avessimo ancora un po’ di fame... A me invece viene in mente quella straordinaria paginetta del Vangelo di Luca in cui Gesù racconta di quell’uomo che, dopo un raccolto abbondante, disse tra sé: «Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?». E continuò: «Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia».
Tutti sappiamo come andò a finire quella storia, questa invece è solo all’inizio e i frutti che verranno in futuro sono ancora più dolci di quelli appena raccolti: sono frutti di comunione, capaci di dare nuova linfa anche ad una economia anemica (alla lettera: senza sangue, e noi aggiungiamo pure senz’anima) come la nostra. “Queste azioni non risolvono i problemi globali, ma confermano che l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente. Essendo stato creato per amare, in mezzo ai suoi limiti germogliano inevitabilmente gesti di generosità, solidarietà e cura” (LS 58).

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