Stravinskij ritrovato nel nuovo disco di Riccardo Chailly
Si propone all’attenzione di ogni musicofilo una nuova edizione discografica, che offre la prima incisione di un brano orchestrale di Igor Stravinskij, perduto durante la Rivoluzione russa e ritrovato nel 2015 dopo più di un secolo dalla sua composizione (1908): Chant funèbre, op. 5, edito da Decca con altre opere della giovinezza del maestro, tra le quali La sagra della primavera...
Si propone all’attenzione di ogni musicofilo una nuova edizione discografica, che offre la prima incisione di un brano orchestrale di Igor Stravinskij, perduto durante la Rivoluzione russa e ritrovato nel 2015 dopo più di un secolo dalla sua composizione (1908): Chant funèbre, op. 5, edito da Decca con altre opere della giovinezza del maestro, tra le quali La sagra della primavera. L’orchestra del Festival di Lucerna è diretta da Riccardo Chailly, che offre un’interpretazione esemplare di ogni singolo brano.
Prima della riscoperta dell’op. 5, si sapeva di questa composizione quanto ne scrisse lo stesso autore ricordandone, quale occasione, l’omaggio al grande compositore Rimskij-Korsakov appena deceduto: “Rammento l’idea della sua concezione: gli strumenti solisti dell’orchestra dovevano sfilare davanti alla tomba del maestro uno dopo l’altro e ciascuno doveva deporre la sua melodia come una ghirlanda contro un profondo sottofondo di mormorii che imitavano le vibrazioni dei bassi in un coro”.
La struttura è articolata a pannelli, nella sua brevità (poco più di 10 minuti): il brano principia con una introduzione in tremolo degli archi e quattro accordi cromatici, scuri nel timbro e profondamente assorti nell’espressione. I legni tagliano il tappeto sonoro con rapidi passaggi ascendenti/discendenti, conducendo a una seconda sezione, dopo tre accordi conclusivi lunga-lunga-breve. Inizia dunque una melopea intonata dalla tromba con sordina, sullo sfondo dell’aura di risonanza dell’arpa, prima di un secondo disegno affidato ai violoncelli, un solenne corale tuttavia disturbato da rapide volate dei violini e degli strumentini. Segue un crescendo fino alla terza sezione in fortissimo, aperta dagli ottoni a fanfara in poche battute. L’arcana melodia giù udita nella sezione precedente, due volte variata anche dai fiati, subisce un processo di progressiva distensione timbrica, finendo intonata dal clarinetto e poi dal flauto, mentre il dialogo tra archi e legni si fa più serrato.
La quarta sezione è la più drammatica nel disegno ritmico delle trombe con sordina, mentre frammenti melodici passano dai legni agli archi con nuovi impasti timbrici scintillanti. La quinta sezione vede violoncelli e contrabbassi tracciare un motivo enigmatico, ripetuto più volte, mentre i violini fanno serpeggiare semifrasi esitanti, fino ad arrivare a un nuovo motivo elegiaco degli archi in contrappunto con i legni. Il brano si avvia alla sezione finale, quella più propriamente funebre, giocata su un netto contrasto tra forte e piano, mentre ancora il tremolo dei violini dona all’ordito sinfonico quel fondo di mesta inquietudine che ne costituisce la cifra. La chiusa è intonata dagli ottoni, con sacrali note ripetute, che hanno convinto il critico Andrew Clements a paragonarne il gesto al Parsifal wagneriano.
Dalla pur precaria verbalizzazione di cui sopra, si sarà inteso che questo Stravinskij decadente, attratto dalla corrispondenza tra suono e visione interiore come dal potenziale iconico del flusso musicale, concepisce un discorso musicale in cui il flou conta più dell’architettura, quando la giustapposizione dei tasselli compositivi obbedisce a un’intenzionalità sonora di sintesi nell’incontro di diversi valori timbrici, piuttosto che all’analiticità strutturale che sarà delle sue composizioni mature. Ma il fascino di Chant funèbre è grande, e il suo ascolto consigliato, per meglio comprendere la linea evolutiva di stile di uno dei massimi geni musicali di ogni tempo.
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