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Il processo “Trattativa Stato-Mafia” visto dal legale del generale Mori

Basilio Milio
Ho difeso la Repubblica.
Come il processo trattativa
non ha cambiato la storia d’Italia
Edizioni L’Ornitorinco
Milano 2023
pagg. 390 - Euro 25

Il processo “Trattativa Stato-Mafia” visto dal legale del generale Mori

Basilio Milio è nato a Messina il 19 aprile 1975. Il padre Pietro era avvocato. Lui ha seguito le sue orme e dal 10 luglio 2003 è avvocato del foro di Palermo. Prima, però, aveva svolto il servizio militare quale ufficiale di complemento dei carabinieri e, qualche giorno prima del 4 luglio 2000, suo primo giorno di leva, aveva avuto occasione di conoscere il direttore della Scuola ufficiali dell’Arma, il generale Mario Mori. Di Mori, Milio è stato il legale nel corso del processo denominato “Trattativa Stato-Mafia”, processo raccontato nei 20 capitoli che compongono Ho difeso la Repubblica. Come il processo trattativa non ha cambiato la storia d’Italia. Questo titolo “può riferirsi sia a uomini delle istituzioni che hanno agito in tal senso, sia ai difensori che li hanno assistiti”, ha scritto nella postfazione il professor Filippo Paterniti.

L’avvocato Milio nel 2013, a neppure quarant’anni, si è dunque trovato a difendere il generale Mori, ai vertici del Ros (il raggruppamento operativo speciale dall’Arma) dal 1990 al 1999, accusato insieme ai colleghi Antonio Subrani e Giuseppe De Donno di aver “usato minaccia ai rappresentanti del Governo della Repubblica italiana” intavolando una trattativa con la mafia con l’intenzione di porre fine alle stragi iniziate nel biennio 1992/1993 in cambio di favori come, ad esempio, il superamento del regime di estremo rigore introdotto dall’art. 41 bis.

Mori, De Donno e Subrani non commisero però reato, perché la loro intenzione era fermare gli attentati, non alimentarli. Ecco perché la Corte d’assise d’appello di Palermo, il 23 settembre 2021, li ha assolti ribaltando la condanna a dodici anni di reclusione stabilita il precedente 20 aprile 2018; ecco perché, il 27 aprile 2023, la Corte di Cassazione ha confermato quanto deciso in appello escludendo ogni loro responsabilità e bacchettando i giudici palermitani che, nel dare “preminenza a un approccio storiografico nell’interpretazione del dato probatorio, hanno finito per smarrire la centralità dell’imputazione nella trama del processo penale”. A dimostrazione di ciò, la Cassazione ha segnalato l’eccessiva “dilatazione delle motivazioni delle sentenze”: oltre cinquemila pagine quella di primo grado e quasi tremila quella d’appello. “Una mole tale da offuscare le ragioni della decisione e rendere le linee argomentative di difficile identificazione e interpretazione”. Alla Cassazione, per demolire tali “linee argomentative”, sono bastate 95 pagine; all’avvocato Milio quasi trecento in più. Quelle del suo libro, dalla cui lettura si ha l’impressione che non sia il fatto a contare, ma come lo si racconta. Anche se, come concluso dalla Suprema Corte, Mori ed i suoi colleghi il fatto non lo commisero.

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