Nel vortice del suo travaglio morale Agostino perde un amico
Agli inizi del libro quarto delle Confessioni Agostino sente il bisogno di tracciare una sintesi dei nove anni trascorsi in preda al Manicheismo: “Per il tempo dei nove anni, dai diciotto fino ai ventisette, mi lasciavo sedurre e seducevo, da ingannato e da ingannatore, nelle varie concupiscenze”. Si ritrovava superbo, superstizioso, insegnando per la gloria e per gli applausi teatrali, si cimentava negli agoni poetici per corone di fieno. Il tutto in compagnia di amici, ingannati da lui e con lui.
Agli inizi del libro quarto delle Confessioni Agostino sente il bisogno di tracciare una sintesi dei nove anni trascorsi in preda al Manicheismo: “Per il tempo dei nove anni, dai diciotto fino ai ventisette, mi lasciavo sedurre e seducevo, da ingannato e da ingannatore, nelle varie concupiscenze”. Si ritrovava superbo, superstizioso, insegnando per la gloria e per gli applausi teatrali, si cimentava negli agoni poetici per corone di fieno. Il tutto in compagnia di amici, ingannati da lui e con lui.
Per focalizzare meglio il suo travaglio morale, Agostino non esita a rilevare due aspetti del suo vivere. Anzitutto: “In quegli anni insegnavo l’arte della retorica e, vinto dalla cupidigia, vendevo l’arte della loquacità per vincere. Insegnavo loro non solo a difendere gli innocenti, ma anche a salvare la vita dei colpevoli”. E un secondo aspetto: “In quegli anni avevo una donna conosciuta non in forza di ciò che viene chiamato legittimo matrimonio, ma scovata dal mio ardore vagabondo e alquanto imprudente. Tuttavia ne avevo una sola e le serbavo fedeltà di letto”. Fu in forza di questa esperienza che Agostino comprese la differenza tra convivenza e matrimonio, anche se nella consapevolezza che l’eventuale prole ha comunque diritto di essere amata. Certo, l’ambiente in cui viveva, Cartagine, era intriso di corruzione. Almeno di fronte a questa Agostino seppe mantenersi distaccato. Un aruspice, ad esempio, chiese ad Agostino quanto era disposto a dargli come ricompensa se gli avesse fatto vincere la gara di poesia teatrale. Agostino gli oppose un netto rifiuto. Cadde invece nella credenza dell’astrologia, da cui lo strappò un proconsole, medico, già erudito in astrologia, che aveva posto sul capo di Agostino la corona vinta nella gara di poesie. E lo invitava a vivere dei proventi della retorica.
Proprio in qualità di retore, da Cartagine fece ritorno al suo paese natio, Tagaste, dove decise di aprire una scuola. Vi trovò un amico di infanzia “molto caro, della mia stessa età, anch’egli nel fior della giovinezza. Da ragazzo era cresciuto insieme con me, avevamo frequentato insieme la scuola e insieme avevamo giocato”. Ed era riuscito a trascinarlo nella setta dei Manichei. Quell’amico fu colpito da febbre mortale. In tale stato, a sua insaputa, fu battezzato. Ma rinvenne. Agostino gli era sempre accanto. E gli svelò il fatto del Battesimo, snobbandolo. L’amico lo apostrofò, ricordandogli che sapeva bene di essere stato battezzato e che, se voleva ancora essergli amico, la smettesse di deridere il Battesimo. Morì improvvisamente. Fu uno choc per Agostino. Tutto gli pareva cambiato in peggio: “Il mio paese era per me un supplizio, la casa paterna una strana infelicità, e tutto quello che con lui avevo avuto in comune, senza di lui si era trasformato in un immane cruccio. I miei occhi andavano in cerca di lui da ogni parte […]. Mi era dolce solamente il pianto”. Viveva infelice e sentiva peggio della morte il non vivere insieme all’amico: “Era morto quel mio amico, che avevo amato come se non avesse dovuto mai morire; e ancor più mi stupivo del fatto che, mentre lui era morto, io fossi ancora vivo, dal momento che io ero come un altro lui”. Definizione di amicizia al superlativo. Anche per dimenticare l’amico, lasciò Tagaste, i cui luoghi glielo ricordavano, e ritornò a Cartagine, che non ne evocava la presenza. Senza volersi scusare in alcun modo, Agostino riconosce che in quel tempo si era allontanato e alienato persino da se stesso; non riusciva più a riconoscere la propria identità; a maggior ragione non riusciva a trovare Dio. Con queste osservazioni che focalizzano il suo stato d’animo, Agostino entra nel quinto libro, in cui narra l’abbandono di Cartagine, l’approdo a Roma e l’arrivo a Milano, dove, in piena crisi nei confronti del Manicheismo, incontra il vescovo Ambrogio.