Se un amico è un alter ego
A Cartagine Agostino vive una duplice crisi: quella morale, dominato come era dalla smania di libidine, e quella religiosa, ormai preda della setta manichea. Dopo la morte di Patrizio, a soli 42 anni, convertito e battezzato grazie alla moglie Monica, Monica appunto raggiunge il figlio Agostino a Cartagine, travagliato da quella duplice crisi...
A Cartagine Agostino vive una duplice crisi: quella morale, dominato come era dalla smania di libidine, e quella religiosa, ormai preda della setta manichea. Dopo la morte di Patrizio, a soli 42 anni, convertito e battezzato grazie alla moglie Monica, Monica appunto raggiunge il figlio Agostino a Cartagine, travagliato da quella duplice crisi. E quella madre “piangeva per me davanti a Te, più di quanto le madri non piangano la morte dei propri figli... Tu l’hai esaudita e non hai disdegnato le sue lacrime”. Nel frattempo Monica fece un sogno premonitore: si trovava su una imbarcazione, guidata da un angelo, che, nella sua disperazione di madre, le segnalava la presenza accanto a lei di suo figlio Agostino. E un secondo fatto la rincuorò: l’incontro con un vescovo a Cartagine, che Monica supplicò di incontrare Agostino per favorirne la conversione. Ma egli la invitò a pazientare, nella fiducia che il Signore stesso gli avrebbe aperto gli occhi. Ma poiché ella insisteva con assillo, seccato, quel vescovo le rispose: «Non può capitare che il figlio di codeste lacrime vada perduto».
A questo punto, Agostino narra il ritorno nel suo paese nativo per aprire una scuola di retorica e dare così avvio al suo insegnamento. E qui accadde qualche cosa di idillico che in breve si trasformò in dramma, se non in tragedia: “Negli anni in cui avevo cominciato ad insegnare nel municipio in cui sono nato, mi ero procurato un amico assai caro per la comunanza di studi, mio coetaneo e con me nel pieno del fiore della adolescenza. Era cresciuto con me da fanciullo ed eravamo andati nella stessa scuola e insieme avevamo giocato... Colpito da febbri, giacque a lungo privo di sensi in un sudore di morte e poiché si disperava (della sua salute) fu battezzato a sua insaputa... Riprese la salute... Pochi giorni dopo in mia assenza viene assalito dalle febbri e muore... per questo dolore il mio cuore fu ottenebrato e tutto ciò che guardavo era morte. E la mia patria mi era un supplizio e la casa paterna una sorprendente infelicità e tutto ciò che avevo sperimentato con lui, senza di lui si era cambiato in un immane tormento. I miei occhi lo ricercavano in ogni dove, e non mi era dato; e avevo in odio ogni cosa poiché non lo teneva con sé... Mi ero fatto a me stesso una grande questione... La mia ferita si è lenita (solo) con il passare del tempo”. Da notare lo sconvolgimento causato nel cuore di Agostino dalla improvvisa morte del suo giovane amico. Mai l’avrebbe messo nel conto degli eventi possibili. Fu colto di sorpresa. E fu amarissima. Le sue reazioni a quella morte segnalano quanto il suo amico fosse radicato nella sua stessa persona, al punto da sentirsi con lui una sola cosa: “(Per me) era peggiore della morte il non vivere assieme (all’amico morto)... era morto colui che io avevo amato come se non dovesse mai morire e mi meravigliavo ancor più del fatto che egli era il mio alter ego e io vivevo anche se lui era morto. Bene ha detto un tale (il poeta latino Orazio nei Carmina) del suo amico: la metà della mia anima”. Agostino non riuscì neppure a sopportare più il suo stesso paese natale che gli ricordava in ogni dove quel suo alter ego. E dunque lasciò Tagaste e fece ritorno a Cartagine dove lo attendevano altre esperienze: “Dove potrei fuggire da me stesso? Dove non seguirei me stesso? E tuttavia fuggii dalla città di Tagaste e venni a Cartagine”.
A questo punto Agostino sente il bisogno di concedersi una pausa di riflessione, nella quale germina nel suo animo il buon senso della saggezza: “Beato chi ama Te, Signore, e l’amico in Te e il nemico per Te. Non perde infatti nessuna persona cara colui al quale tutti sono cari in Colui che non si perde”.
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