Nel Vangelo il compimento dell’umanesimo
La terza area di riflessione affidata al Simposio dei Laici del 17 ottobre riguardava l’umanesimo cristiano. L’argomento è stato trattato da due gruppi, coordinati da Umberto Fasol e da Massimo Zuppini.
Si è cercato anzitutto di evidenziare ciò che specifica l’umanesimo cristiano, al punto da non poter essere equivocato con nessun altro umanesimo, tanto meno assimilato...
La terza area di riflessione affidata al Simposio dei Laici del 17 ottobre riguardava l’umanesimo cristiano. L’argomento è stato trattato da due gruppi, coordinati da Umberto Fasol e da Massimo Zuppini.
Si è cercato anzitutto di evidenziare ciò che specifica l’umanesimo cristiano, al punto da non poter essere equivocato con nessun altro umanesimo, tanto meno assimilato.
Proprio in concomitanza con il Sinodo dei vescovi sulla famiglia, è ulteriormente significativo il fatto che l’elemento nodale e qualificante dell’umanesimo cristiano sia stato riconosciuto nell’identità della famiglia, considerata come immagine e somiglianza di Dio, Mistero di amore trinitario: “Maschio e femmina lo creò” (cf Gen 1, 27), redenta da Cristo e da Lui stabilita, con uno specifico sacramento, segno efficace del suo amore per la Chiesa, di cui la famiglia cristiana è espressione, nel suo essere “chiesa domestica”. Una tale famiglia è aiutata dalla grazia a essere unita nella fedeltà affettiva e nella gioia di essere in miniatura la riproduzione in terra dell’essere trinitario di Dio. Proprio dentro la famiglia, l’essere umano si sperimenta non individuo assoluto, ma individuo in relazione, cioè persona.
Una seconda caratteristica dell’umanesimo cristiano, come è stato rilevato, è la preghiera, non fine a se stessa, ma finalizzata a un operare nel segno dell’amore fraterno solidale. Di qui la terza caratteristica: il vivere la comunione fraterna come segnale della presenza di Cristo che ci fa crescere come persone nuove perché da lui rinnovate, ispirandoci atteggiamenti e progetti positivi, in forza della certezza che è all’opera lo stesso Spirito Santo. Il tutto in proiezione di vita da risorti, parzialmente qui e definitivamente oltre il tempo.
Fatte queste premesse, ai componenti dei due gruppi è parso un dato congeniale all’umanesimo cristiano la disponibilità e la determinazione ad un costante confronto dialogico con l’umanesimo umano integrale, nella convinzione che non si crea un cristiano sul vuoto dell’umano; che cioè senza un umanesimo umano integrale sano non può esistere quello cristiano, secondo la legge della fruttificazione delle piante da frutto. Come è stato rilevato, un innesto (nella fattispecie l’umanesimo cristiano) sviluppa tutte le sue potenzialità su un portainnesto adeguato e sano. Non a caso il mistero dell’Incarnazione, nel farci diventare figli di Dio, ha risanato proprio l’umano. Di qui la centralità di riferimento imprescindibile a Gesù Cristo, l’Uomo perfetto, specifico dell’umanesimo cristiano!
Più complesso, invece, risulta il confronto con il postumanesimo, proprio per la sua caratteristica di sostanziale antiumanesimo sociale. Facendo tuttavia distinzione tra la cultura del postumanesimo dalle persone che ne sono intaccate più o meno radicalmente. Sta di fatto che in ognuno coesistono, pur in dosaggi diversi, elementi di tutti e tre gli umanesimi. È proprio questa convinzione, che cioè nessuno è integralmente, monoliticamente, appartenente ad una sola area culturale, per cui ci troviamo “un po’ tutti spezzettati”, che sospinge il cristiano alla fiducia di poter entrare comunque in dialogo culturale con tutti, senza attivare indebite strategie di proselitismo, magari cercando le possibili fessure, le possibili valenze di sensibilità condivise: “Anche chi è maggiormente impastato di postumanesimo ha dentro di sé uno zoccolo di valori comuni”.
Tutti in ogni caso concordano sulla necessità da parte dei laici cristiani di entrare da cristiani negli ambiti che contano, “dove si sfidano le coscienze con le diverse proposte religiose, filosofiche e morali”; di farsi carico delle problematiche del sociale; soprattutto dando umile e vera testimonianza della differenza di umanizzazione insita nell’umanesimo cristiano.
Va da sé che in questa area di riflessione si è sviluppato soprattutto il fronte dell’uscita dei laici per incontrare gli altri, confrontarsi, condividere, nella convinzione che l’uomo postmoderno e postumano è un inquieto, svela delle crepe, delle fessure, attraverso le quali è possibile incontrarsi nella verità disarmata della persona. Di conseguenza, occorre passare da una pastorale della convocazione a una dell’irradiazione; da una pastorale di conservazione a una di uscita, capace di testimoniare quanto l’umanesimo cristiano è umanesimo ad alto livello.
I veri laici cristiani sanno partire dal cuore, dalla solidarietà, dalla condivisione, dallo stare assieme anche a chi si ispira a matrici culturali diverse, a fianco a fianco, nell’impegno di umanizzare il sociale, superando le possibili precomprensioni, testimoniando invece la bellezza e la gioia umanizzante dell’essere cristiani.
Dunque una Chiesa in uscita, proprio attraverso i suoi laici che “devono essere la chiave di volta di questa trasformazione”: da una Chiesa clericocentrica a una Chiesa che fa leva sul popolo di Dio, carico di speranza, luce e sale della terra, al cui servizio ministeriale si colloca il ministero presbiterale ordinato.