La tecnoscienza e la crisi ecologica
Il capitolo terzo dell’enciclica Laudato si’ porta come titolo “La radice umana della crisi ecologica”. Fondamentalmente vengono individuate e analizzate due radici velenose: il cattivo uso della tecnoscienza e l’antropologismo, cioè l’assolutizzazione della centralità dell’uomo, senza tenere sull’orizzonte Dio...
Il capitolo terzo dell’enciclica Laudato si’ porta come titolo “La radice umana della crisi ecologica”. Fondamentalmente vengono individuate e analizzate due radici velenose: il cattivo uso della tecnoscienza e l’antropologismo, cioè l’assolutizzazione della centralità dell’uomo, senza tenere sull’orizzonte Dio.
Focalizziamo il tema della tecnoscienza in rapporto all’ecologia. Nel giro di due secoli siamo passati dalla macchina a vapore, all’informatica, al digitale, alla robotica, alle biotecnologie, alle nanotecnologie, di cui non possiamo non rallegrarci per l’incidenza che hanno sul progresso umano (cf 102-103). “Tuttavia non possiamo ignorare che l’energia nucleare, la biotecnologia […] ci offrono un tremendo potere. [...] Un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero. Mai l’umanità ha avuto tanto potere su se stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene […]. In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere?” (104). Purtroppo vi è in atto una tendenza ad identificare “ogni acquisto di potenza” come progresso e benessere, mentre l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza (cf 105). Purtroppo, si è passati da una tecnologia che ha accompagnato e assecondato le possibilità offerte dalle cose, accogliendo quanto la natura offriva, come tendendo la mano, ad una tecnoscienza che tutto pretende dalla natura “estraendo tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realtà stessa […]. Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata […]. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a ‘spremerlo’ fino al limite e oltre il limite” (106). Non c’è dubbio che “gli effetti dell’applicazione di questo modello a tutta la realtà, umana e sociale, si constatano nel degrado dell’ambiente […]. Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere” (107).
Dopo aver precisato che il “paradigma tecnocratico è diventato dominante” (108) e che di fatto “la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica” (ivi), l’enciclica evidenzia il rapporto della tecnocrazia con l’economia: “L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione ad eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale” (109). Ormai prevale la convinzione che la tecnoscienza risolverà tutti i problemi dell’umanità e che “i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. […] Nel frattempo, abbiamo una sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante” (ivi).
Né l’enciclica tace il fatto che la pretesa della tecnoscienza di risolvere tutti i problemi è fantascienza. Molti problemi dell’uomo vanno affrontati dalla filosofia, dall’etica sociale (cf 110). E la stessa cultura ecologica va nutrita principalmente da uno stile di vita e dalla spiritualità (cf 111). L’enciclica incoraggia i produttori che “optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico” (112), segnale positivo questo unito ad altri che prelude lo sbocciar di una sorta di “ostinata resistenza di ciò che è autentico” (ivi). Purtroppo la gente è rassegnata, non crede più ad un futuro migliore, ad una tecnoscienza che equivale a progresso. Le stesse megastrutture e le case in serie, espressione della tecnica globalizzata, creano un senso di pesante noia e di vuoto, l’uomo si sta scavando la fossa di un vivere senza respiro e senza senso (cf 113).
Significativo l’appello ad una “coraggiosa rivoluzione culturale” (114). Evidentemente “nessuno vuol tornare all’epoca delle caverne, però è necessario rallentare la marcia […], raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane” (ivi).