Una politica che non decide, un’economia che “uccide”
Nella Laudato si’ emerge la debolezza di classi dirigenti ormai subordinate alla potenza del denaro.
Si discute, si dibatte ma le grandi crisi internazionali e i problemi interni rimangono irrisolti
La recente enciclica Laudato si’ di papa Francesco ha suscitato sin dalla sua uscita una grande quantità di commenti; l’intervento pontificio, tra critici entusiasti e detrattori severi, ha avuto il merito di suscitare un ampio dibattito attorno ai temi della salvaguardia del creato, a proposito dei quali il contributo del Papa si inserisce pienamente nella ricca tradizione della Dottrina sociale della Chiesa, in piena continuità con i propri predecessori.
L’enciclica, scritta con uno stile diretto e semplice, risulta veramente universale e corale: universale, in quanto si rivolge “a tutta la famiglia umana” (n. 13) nel nome della “cura della casa comune”; e corale perché affronta l’argomento ecologico in modo complessivo, superando il riduzionismo degli ecologismi contemporanei, ideologici e idolatrici, che tentano di risolvere la salvaguardia della natura in modo integralista e superficiale. Papa Francesco invece chiede di impostare “un’ecologia integrale”, che partendo dal Dio Creatore, riporti l’ordine delle relazioni fondamentali: tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e il prossimo, tra l’uomo e la natura.
Per questo chiede a tutti, cristiani e non, “una conversione ecologica”, che recuperi le radici etiche e spirituali dei problemi ambientali. In modo chiaro la Laudato si’ evidenzia la necessità della lode al Dio creatore e il rispetto dovuto all’uomo concepito come custode e responsabile della natura, che a sua volta merita rispetto e amore in quanto creatura di Dio. Tutta l’enciclica insiste sulla centralità e sulla dignità della persona umana e sulla necessità di proteggere e custodire l’ordine naturale, in quanto “il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi” (n. 56).
Nella coralità del documento si fa più volte riferimento all’attività politica; in molte parti del testo e in particolare nel capitolo I (nn. 53-59) e nel capitolo V (nn. 182-189) papa Francesco affronta l’analisi delle colpe della politica internazionale rispetto al quadro di sfruttamento irresponsabile e all’abuso dei beni del creato, che hanno dato luogo “all’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente” (n. 56). Il Papa denuncia la debolezza della politica, che è sempre più subordinata ad interessi economici di parte, che nulla hanno a che vedere con il bene comune. Egli descrive in modo realistico l’insignificanza della politica, sempre più incapace di gestire i conflitti e le tensioni, sia a livello internazionale (crisi libica, siriana, ucraina, terrorismo), europeo (la crisi greca e i migranti del Mediterraneo), sia a livello nazionale, con la crisi del sistema democratico nelle sue derive populiste ed individualiste.
Questa politica, denuncia il Papa, è finalizzata al puro consenso elettorale e alla gestione dell’immediato ed ha rinunciato ad avviare progetti virtuosi a lunga scadenza, dimenticando che il compito della politica non è quello di occupare spazi, ma di avviare processi; questo perché è sempre più sottomessa all’economia, nella quale il denaro e la rendita finanziaria hanno estromesso l’uomo, che in questo contesto non viene più considerato nella sua dignità di persona, ma come strumento di una logica dello “scarto”, che genera profondi squilibri e povertà diffusa. Per papa Francesco la stessa economia è schiacciata sui paradigmi efficientisti e utilitaristi della tecnocrazia e della tecnoscienza, che traducono la pretesa dell’uomo di essere signore e padrone del creato, mettendo al centro dell’agire individuale e collettivo le logiche dell’egoismo e del consumismo, che sfruttano in modo dissennato i beni della terra. Il risultato è quello di una politica che non decide, di un’economia che “uccide” e di una tecnocrazia che nel suo inarrestabile progresso compromette sempre di più il destino delle generazioni future. Questo scenario potrebbe ulteriormente peggiorare perché “gli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta” (n. 56) possono a tempo breve creare contesti favorevoli per nuove guerre disastrose per il futuro dell’umanità e del creato stesso.
L’enciclica, nella sua lettura attenta della realtà, non si abbandona però al catastrofismo, aprendo in pieno spirito cristiano le porte alla speranza; perché, come spesso ricorda la Dottrina sociale della Chiesa, non è la politica che salva l’uomo, ma Gesù Cristo. Proprio questa speranza permette al Papa di scorgere anche nell’attuale drammatico crollo di tutte le certezze la capacità dell’essere umano “di intervenire positivamente; essendo stato creato per amare, in mezzo ai suoi limiti, germogliano inevitabilmente gesti di generosità, solidarietà e cura” (n. 58).
Con la certezza di questa speranza il Papa indica le vie attraverso le quali la politica può recuperare respiro e “ampiezza di vedute”. Si tratta innanzitutto di mettere al centro dell’agire politico la dignità della persona umana; si tratta ancora di ridisegnare il rapporto tra politica, economia e tecnocrazia: la politica deve essere orientata al servizio e alla ricerca del bene comune; l’economia e la tecnocrazia, sottomesse alla politica, devono avere un ruolo strumentale rispetto “al servizio della vita, specialmente della vita umana”.
Di fronte alla tragedia della quotidianità, l’enciclica ripropone dunque l’idea di una civiltà dell’amore, all’interno della quale anche la politica può diventare “amore per la società e impegno per il Bene Comune e forma eminente di carità” (n. 231).