Condiscepoli di Agostino
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La sofferenza di Agostino per le divisioni nella Chiesa

Pochi come Agostino hanno sofferto a causa delle divisioni provocate nella Chiesa di Cristo da eresie e da scismi. Senza ombra di dubbio, per Agostino il male più grave che possa colpire la Chiesa è la lacerazione della sua unità o, per usare un termine a lui familiare, della sua compagine, sia attraverso l’eresia che intacca la verità, sia attraverso lo scisma che infrange la carità...

Parole chiave: Giuseppe Zenti (10), Condiscepoli di Agostino (104)

Pochi come Agostino hanno sofferto a causa delle divisioni provocate nella Chiesa di Cristo da eresie e da scismi. Senza ombra di dubbio, per Agostino il male più grave che possa colpire la Chiesa è la lacerazione della sua unità o, per usare un termine a lui familiare, della sua compagine, sia attraverso l’eresia che intacca la verità, sia attraverso lo scisma che infrange la carità. Il Vescovo di Ippona individua la causa della lacerazione dell’unità nell’aver eclissato l’Uno, nel quale tutte le genti sono una cosa sola, per assolutizzare un uomo, il cui nome è divenuto centro di riferimento al posto di Cristo. Ognuno di questi nomi – Ario, Eunomio, Fotino, Donato, Mani, Priscilliano, Macedonio, Sabellio – raccogliendo ad esclusivo vantaggio individuale un proprio mannello di frumento, è divenuto nome di divisione. Nel radunare attorno a sé un proprio gregge, ha spezzato l’unità della Chiesa. “Mille nomi, mille divisioni”, ammonisce Agostino. Si tratta certamente di nomi prestigiosi. Ma appunto per questo, per amore della pace non dovevano rompere l’unità. Al contrario, dovevano vigilare per non produrre scismi con il loro agire superbo. Mentre, infatti, per l’unità della Chiesa si deve essere disposti a sacrificare anche il proprio onore, essi hanno agito unicamente in vista del prestigio personale, sostituendosi di fatto a Cristo. L’unità della Chiesa esige invece che Cristo solo sia onorato come sposo. Tutti gli altri vanno amati come amici dello Sposo. Ad essi viene affidata la Chiesa, affinché ne difendano l’unità, non per farsi amare al posto dello Sposo. Con grande sofferenza Agostino si sente costretto ad osservare e ad ammonire che, mentre costituisce già una anomalia e una contraddizione porre i servi sullo stesso piano di Cristo, come fosse lecito essere o di Cristo, o di Paolo, o di Donato, è davvero una assurdità anteporre i servi a Cristo. In effetti, in ogni setta viene operato questo tradimento e questo capovolgimento di priorità, inducendo i propri seguaci ad identificarsi più nel nome del loro capo che in quello di Cristo, così da ritenere più importante essere, ad esempio, di Donato che di Cristo. Certo, solo l’amore a se stessi e la presunzione hanno potuto ingenerare nei capi delle sette l’idea della necessità di separarsi dall’unità, al fine di salvaguardare l’integrità della fede e la santità della vita, provocando in tal modo una scissione inarrestabile nel suo movimento, a catena. Consapevole dei danni provocati dalla superbia, Agostino non si stancava di richiamare l’attenzione sulla necessità dell’umiltà. Fra le citazioni basta quella contenuta nella lettera a Dioscoro, al quale indica l’unica strada per raggiungere la verità, che si identifica con la strada della santità: “La prima strada è l’umiltà, la seconda è l’umiltà e la terza è l’umiltà”. In fondo, conclude Agostino, la madre che ha partorito tutte queste sette è la superbia, che le ha rese inutili sarmenti recisi dalla vite, la quale estende i suoi rami fino ai confini della terra. E poiché hanno disertato tutti l’unità – benché discordi tra loro sono infatti tutti consenzienti contro l’unità, diversi nella dottrina, ma uniti nella vanità – hanno violato anche la carità che non può trovarsi se non nell’unità. Non possedendo il coagulo della carità, i fautori di divisione hanno causato a se stessi il proprio danno, come chi si stacca dalla fonte. Colui infatti che non possiede l’unica virtù, la carità, grazie alla quale può trovare profitto da tutte le cose, possiede ogni cosa inutilmente. A chi non ha la carità nulla giova, né il Battesimo, né l’operare miracoli, né la verginità, né il martirio, né la predicazione, e neppure la fede, «tanto valore ha l’unità della carità».

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