Una giornata particolare
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Mediterraneo, il Mare nostrum tra culla di vita e cimitero di africani

Gli antichi romani, dal I secolo a.C., lo chiamavano Mare nostrum ed era lo specchio più evidente del loro potere e della “pace” (intesa alla loro maniera). Oggi il Mar Mediterraneo appare come il simbolo delle grandi contraddizioni della nostra società. Rimane una grande fonte di ricchezza e risulta un luogo di forte sfruttamento e inquinamento...

Mediterraneo, il Mare nostrum tra culla di vita e cimitero di africani

Gli antichi romani, dal I secolo a.C., lo chiamavano Mare nostrum ed era lo specchio più evidente del loro potere e della “pace” (intesa alla loro maniera). Oggi il Mar Mediterraneo appare come il simbolo delle grandi contraddizioni della nostra società. Rimane una grande fonte di ricchezza e risulta un luogo di forte sfruttamento e inquinamento. È considerato una delle regioni con il maggior numero di specie viventi in tutto il pianeta, ma anche quella con la più alta concentrazione di rifiuti (vedi le tantissime isole di plastica).
È crocevia di dialogo e incontri, e allo stesso tempo terreno di scontro e tensioni. Su esso si affacciano le più antiche e solide democrazie, ma anche alcuni dei più sanguinari autoritarismi. Le sue coste sono piene di germogli di grandi idee e dei macigni di pesanti ideologie. È la culla di tanta vita eppure è considerato il cimitero più grande d’Europa.
In occasione della Giornata internazionale del Mar Mediterraneo (8 luglio) si vogliono evidenziare queste contraddizioni e ricordare annualmente tutti i caduti di questo mare, dai pescatori e marinai – sempre poco protetti e valorizzati – fino ai migranti che inseguivano una speranza. Tra questi ultimi si parla di circa 20mila morti solo tra il 2014 e il 2019, spesso senza che se ne sappia nulla e che ne rimanga traccia.
Più che vittime del mare si dovrebbe dire che sono vittime di quello che succede sulla terraferma e di un sistema sociale ed economico che imbarca acqua da tutte le parti e dal quale tutti cercano di fuggire: chi in viaggi al limite della disperazione, chi nell’indifferenza e chi in qualche utopia. Forse non è un caso che Gabriele Salvatores abbia intitolato Mediterraneo (1991) il film con cui ha concluso la “trilogia della fuga”. Dopo il deserto di Marrakech Express (1989) e la provincia italiana di Tournè (1990), ecco il mare e le sue coste. Un film che appare semplice e leggero, ma che fin dall’inizio strizza l’occhio all’evadere – o visto la cornice storica e tematica, sarebbe meglio dire al ritirarsi – da una realtà che appare ormai tutta sbagliata; non per niente inizia con una citazione del medico e filosofo Henri Laborit, contenuta nel suo Elogio alla fuga (uscito in Francia nel 1976 e in Italia nel 1990): “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”.
Per fortuna non mancano dei tentativi alternativi sia alla fuga che all’indifferenza, con tanti esempi eroici e le più diverse iniziative (spesso di matrice ecclesiale e religiosa) che si adoperano per creare equilibri ambientali e politici migliori, promuovere una imprenditorialità nuova (soprattutto in ambito ittico, agricolo o turistico), prevenire migrazioni internazionali che risultano sempre problematiche per tutti gli attori in gioco. Di particolare interesse alcune iniziative che coinvolgono alcuni migranti africani rientrati nel loro Paese di origine per trasmettere le conoscenze acquisite in Europa e per essere sentinelle contro la tratta.

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