Il gioco degli scacchi da secoli, senza confini, mette a confronto le intelligenze più brillanti
Alcuni mesi fa si era scatenata una polemica sul Web, con qualche punta anche su giornali e televisioni, riguardo il presunto razzismo propagandato dal gioco degli scacchi
Alcuni mesi fa si era scatenata una polemica sul Web, con qualche punta anche su giornali e televisioni, riguardo il presunto razzismo propagandato dal gioco degli scacchi. All’origine sembra esserci stato il desiderio di creare dibattito da parte della redazione dell’Abc, la rete televisiva australiana che alterna programmi di attualità, intrattenimento leggero e molti eventi sportivi, soprattutto locali. Un produttore di questa emittente avrebbe chiesto conto del razzismo in questo gioco a John Adams, analista economico e già portavoce della federazione australiana degli scacchi. Il tutto perché di regola il bianco muove sempre per primo. Adams, che in precedenza era già stato un commentatore economico dell’Abc, non rilasciò nessuna dichiarazione alla televisione e semplicemente raccontò l’episodio su Twitter senza dire la sua opinione. Questo scatenò un grande dibattito, che assunse dimensioni internazionali, tanto da coinvolgere pure la leggenda degli scacchi Anatoly Karpov, oggi settantenne e campione del mondo dal 1975 al 1985 e poi dal 1993 al 1999. Forte della sua recente nomina ad “ambasciatore a vita” della Fide, la federazione internazionale degli scacchi, ha definito questa accusa una follia e ha preteso maggior rispetto per questo gioco secolare. Sembra infatti che fossero già giocati in India nel VI secolo d.C., vennero fatti proprio dagli Arabi, attraverso cui a cavallo tra i millenni si diffusero in Europa. Citati da Dante nel XXVIII canto del Paradiso, raggiunsero la forma moderna in Italia e Spagna nel XV secolo, epoca delle grandi esplorazioni geografiche che portarono questo gioco in tutto il mondo. Nel XIX secolo si codificò il regolamento attuale e, nel 1886, fu dichiarato il primo campione del mondo: Wilhelm Steinitz. La biografia di questo scacchista – considerato “il Michelangelo degli scacchi” per la sua dedizione e per l’impatto nell’evoluzione di questo gioco – ci parla di tutto tranne che di onte razziste: nacque a Praga da una famiglia di ebrei osservanti, studiò a Vienna, si sposò in Inghilterra e, una volta rimasto vedovo, si trasferì negli Stati Uniti dove convolò a nuovo matrimonio e ottenne la cittadinanza americana. Per completezza, nella sfida mondiale, batté Johannes Hermann Zukertort, scacchista polacco che conosceva 12 lingue e che era figlio di un cristiano protestante di origine ebraica. Ma soprattutto gli scacchi si giocano in qualsiasi situazione (in famiglia o tra amici, in competizioni locali o internazionali, su internet o per corrispondenza) e in ogni zona della Terra, con circa il 10% della popolazione mondiale che vi gioca più o meno abitualmente. In un sondaggio del 2012, risulta che il 70% degli adulti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Russia e India abbia giocato a scacchi almeno una volta nella vita. La Fide, che dal 1924 coordina le diverse federazioni nazionali (se ne contano oggi 189), fin dal 1966 ha proposto il 20 luglio come Giornata internazionale degli scacchi, appoggiata dall’Unesco.
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