Una minoranza ma significativa
I cristiani non si lasciano rubare la gioia dalle prove della vita
Cosa resta del nostro popolo di Dio dal passaggio del Covid-19? Quando si parla di “resto” non si parla semplicemente di scampati, coloro che si rivolgono alla Chiesa altrimenti non saprebbero da chi andare, o di una élite, coloro che si spremono per un cristianesimo dei puri e duri. I primi si sentono privilegiati per motivi di appartenenza, i secondi per competenza. Se separiamo queste due dimensioni, le nostre piccole comunità rischiano di non rispondere alla vocazione salvifica a cui sono chiamate.
Suor Grazia Papola ben sottolinea (nell’articolo pubblicato su Verona Fedele del 14 giugno a pagina 14) quanto il resto d’Israele dice “piccolezza” e “debolezza”, come ritorno alle origini, quando tutto ha avuto inizio con poco (pensiamo ad Abramo!). Il “resto” diventa segno nel mondo e per il mondo, garanzia che la benedizione straordinaria ricevuta agli inizi non viene smentita. I profeti hanno gridato questo con forza creativa. Quello che resta delle nostre comunità cristiane, allora, è prima di tutto un segno. Per quanto deboli e pochi, Dio è in grado di parlare a questo mondo attraverso quei pochi. Mai come in questo momento, per i cristiani italiani, inizia ad assumere consistenza la parola minoranza (quanto è difficile gestire questa parola!). Ma essere minoranza non significa smettere di essere significativi. Cosa significa? I pochi non sono i migliori, ma quelli che non si lasciano rubare la “gioia piena” dalle prove del momento (Gv 15,11), quella gioia sperimentabile per grazia nelle nostre piccole comunità, anche se si radunano nelle case. Il “resto”, per quanto ridotto, è dunque chiamato a essere ancora più incarnato nel proprio territorio. Dal punto di vita sociale, perché bastano pochi cristiani senza interessi di parte, per far girare enormi quantità di risorse economiche che garantiscano dignità agli svantaggiati; dal punto di vista spirituale, perché pochi cristiani che condividono la fede nell’Eucaristia e pregano, possono intercedere per tutti, anche per i nemici, i rifiutati e gli esclusi. Un’azione di inclusività sociale senza precedenti.
Gesù Cristo ha iniziato con pochi, una ciurma di personaggi che dalla Galilea a Gerusalemme, oggi, rappresenterebbe tutte le linee di pensiero del nostro parlamento. Non li ha uniti una ideologia, ma una persona. Quei poveri e deboli apostoli sono diventati dei “chiesafondai” in tutto il mondo, anche da morti, dalla tomba di san Giacomo in estremo Occidente (Santiago), a quella di san Tommaso nell’estremo Oriente (India - Mailapur).
Vicario episcopale per la cultura
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