Case farmaceutiche senza scrupoli, minorenni abbandonati a se stessi e sentenze che lasciano ammutoliti
Luciano Violante, accademico e già presidente della Camera dei Deputati, ha scritto che “il principio maggioritario è in democrazia sottoposto a precisi limiti per evitare gli abusi delle maggioranze, la cosiddetta ‘dittatura della maggioranza’...
Luciano Violante, accademico e già presidente della Camera dei Deputati, ha scritto che “il principio maggioritario è in democrazia sottoposto a precisi limiti per evitare gli abusi delle maggioranze, la cosiddetta ‘dittatura della maggioranza’. Questi limiti sono oggi costituiti dalla separazione dei poteri, da un nucleo di diritti fondamentali collocato fuori delle contese politiche, e che perciò ‘non può essere sottoposto al voto’, da una magistratura indipendente e da un sindacato sulla conformità delle leggi alla Costituzione operato dalle Corti Costituzionali” (Appunti per una analisi del populismo giuridico - Milano, 2010).
Chiedersi se oggi questi limiti vengano valicati e se ci troviamo davanti ad abusi di qualche maggioranza non è retorico e non può essere neppure liquidato come paura del moralismo dogmatico, come qualcuno attribuisce al mondo cattolico. Ma andiamo per ordine.
Il giorno 8 ottobre 2020, l’Agenzia italiana del farmaco, Aifa, su richiesta delle case farmaceutiche produttrici, ha eliminato l’obbligo della ricetta medica per tutte le ragazze minorenni che facciano richiesta di ElleOne, la cosiddetta “pillola dei 5 giorni dopo”. Si tratta di un farmaco contraccettivo, ma anche abortivo, nel caso impedisca all’ovulo fecondato di impiantarsi nell’endometrio. Questo sostengono studi scientifici internazionali (Emea 2009 e Lira Albarran 2018) e queste erano le conclusioni cui era arrivato il Consiglio Superiore della Sanità il 10 marzo del 2015.
Ora, con un colpo di spugna cha ha cancellato queste indicazioni dal bugiardello, il foglio chilometrico che accompagna il prodotto, l’Aifa ha deciso che qualsiasi ragazza, di qualsiasi età, può procurarsi il farmaco, come prodotto di banco, alla stregua di una scatola di aspirina o di magnesia bisurata. È noto che è vietato vendere ai minori alcol e sigarette. Ai loro genitori chiediamo di giustificarne le assenze scolastiche. Sono richiesti 18 anni per permettere loro di guidare l’auto e di votare. In ambito sanitario, la legge 21 del 2017 impone che fino ai 18 anni il consenso per interventi sanitari sia rigorosamente concesso dai genitori. Ora sappiamo invece che per quanto concerne la vita sessuale, qualsiasi ragazzina è lasciata sola, senza il supporto di una famiglia o di un medico, qualora andasse incontro ad un processo abortivo. E se la ragazzina, senza la tutela dei genitori, venisse spinta a fare questo da adulti col pelo sullo stomaco che si stanno servendo di lei? Affari suoi, verrebbe da dire. Sapendo che gli affari, in realtà, li fanno altri e senza tanti scrupoli.
Ma questa è solo una parte del dramma e qui si entra negli abusi delle maggioranze. Lo scorso dicembre, otto associazioni non profit fanno ricorso al Tar del Lazio contro l’abolizione della ricetta, in quanto le minorenni vengono lasciate senza tutela medica preventiva e, soprattutto, senza l’accompagnamento della famiglia, nel momento che assumono un farmaco altamente invasivo. Salvati cielo!
L’Aifa, tramite l’Avvocatura di Stato, si costituisce in giudizio e chiede che non venga ammesso il ricorso, perché presentato da associazioni “impegnate secondo prospettive ideologiche e condizionate da aspetti dogmatici che mal si conciliano con una rigorosa e obiettiva trattazione di temi quali il diritto alla vita, il diritto all’aborto, le unioni civili, l’eutanasia, l’obiezione di coscienza e la contraccezione di emergenza”. Quindi, sappiano i cattolici e chi è a favore della vita che secondo l’Aifa essi non hanno diritto di accesso ai tribunali per tutelare i loro punti di vista. Cittadini di serie B. Ma non è ancora finita.
Il Tar del Lazio, il 4.6.2021 accoglie per ovvie ragioni il ricorso, ma lo respinge, evitando di entrare nel merito, perché “la giustizia amministrativa è squisitamente connotata da discrezionalità tecnica”, per cui “non possono essere esaminati giudizi di non condivisione”. E subito dopo aggiunge che “l’Aifa ha sostanzialmente fatto propria una relazione di parte”. Esattamente così, cari lettori. Ma un tribunale che viola l’imparzialità richiesta dall’art. 97 della Costituzione, dando ragione a una parte sapendo che è di parte che giustizia applica? Il problema non è più soltanto di una pillola, ma di democrazia.
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