Nessuna forma di religiosità pagana è via alla salvezza
Nel libro settimo della Città di Dio Agostino prosegue le riflessioni già esposte nel libro sesto. Anzitutto, ironizza sui criteri di quella selezione degli dei che li mette in graduatoria di venerabilità e di efficacia negli interventi nelle faccende umane, e in vista della vita beata oltre la morte...
Nel libro settimo della Città di Dio Agostino prosegue le riflessioni già esposte nel libro sesto. Anzitutto, ironizza sui criteri di quella selezione degli dei che li mette in graduatoria di venerabilità e di efficacia negli interventi nelle faccende umane, e in vista della vita beata oltre la morte. Ancor più escludendo comunque la possibilità da parte della idolatria di portare l’uomo alla salvezza. La salvezza, già efficacemente prefigurata nel giudaismo, è stata predicata e attuata invece dal cristianesimo.
Come è di abitudine, anche a questo libro Agostino premette una prefazione. In essa giustifica presso i lettori lo sforzo che sta compiendo per smantellare le false credenze politeiste che pretendono di essere via alla salvezza eterna, anche quelle della religione civile, quella cioè costituita dalle pratiche religiose imposte dallo Stato, avvalorata dallo stesso Varrone: “Coloro che intendono seguirmi nella lettura dell’opera, mi seguano mentre sto compiendo con alquanta diligenza il tentativo di svellere ed estirpare le malvagie e vecchie opinioni nemiche della verità della religione, che l’errore prolungato ha infisso negli animi tenebrosi del genere umano più in profondità e con maggior tenacia” (De civ. Dei, VII, prefazione). Non concorda con Varrone quando ritiene che esistano degli “dei eletti che vanno adorati in vista della vita beata che si ha soltanto nell’eternità” (De civ. Dei, VII, 1). Osserva Agostino che le selezioni degli dei in vista della vita beata nell’eternità possono essere infinite, ma ciò non significa scartare altre possibili. Esemplifica con un riferimento che riguarda la vita relazionale nella Chiesa, dove tutti comunque godono di pari dignità: “Quando nella Chiesa vengono eletti coloro che hanno il compito di presiedere, non vengono certamente scartati gli altri dal momento che tutti i buoni fedeli sono meritatamente considerati eletti. Vengono scelti nell’edificio le pietre angolari, senza con ciò scartare le altre che sono deputate ad altre parti della struttura; vengono scelte le uve per la mensa, ma non si scartano le altre che lasciamo per la bevanda” (Ivi). Agostino sembra divertirsi nel riprodurre la stucchevole serie di divinità elette, venti, di cui dodici maschi e otto femmine, ognuna delle quali sta a presiedere qualche evento importante della vita, dal concepimento in poi, o qualche attività umana, o gli astri o la terra, raffrontando tra loro i vari dei con le reciproche incombenze e i complessi ruoli, non alieni da immoralità e sconcezze (Cfr De civ. Dei, VII, 2-26). Pagine davvero bizzarre, sulle quali sorvoliamo. Agostino alla fine precisa che “questi dei scelti sono stati più celebri degli altri, non perché le loro azioni buone erano più illustri, ma perché erano meno nascoste le loro azioni vergognose” (De civ. Dei, VII, 27, 1). Si convince ancor più che di fatto l’origine degli dei sia davvero mitica: essi alle origini altro non erano se non la mitizzazione delle virtù e dei vizi degli uomini e delle donne. Ma che senso ha il culto degli dei? Templi, sacerdoti e sacrifici sono destinati al Dio vero, creatore di ogni anima e di ogni corpo, il quale non va adorato “con la bruttura e la mostruosità degli idoli, col sacrificio di vite umane, con l’incoronazione degli organi meno onesti, con il guadagno delle prostituzioni (stupri), con la mutilazione delle membra, con l’evirazione, con la consacrazione di effeminati, con le feste di spettacoli impuri e osceni” (De civ. Dei, VII, 27,2). Purtroppo la religione civile ha coinvolto demoni esecrabili e spiriti impuri “per rendere schiave le coscienze degli stolti” (Ivi). Nessuno invece dev’essere adorato al posto di Dio (Cfr Ivi).
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