Condiscepoli di Agostino
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Agostino si confronta con Cicerone

A diversità dal mondo pagano colto, i cristiani riconoscono il valore dell’umiltà: “Noi cristiani rendiamo grazie al Signore nostro Dio, non al cielo e alla terra come disputa costui (Cicerone), ma a Colui che ha fatto il cielo e la terra, che queste superstizioni ha sovvertito non solo nel cuore dei credenti, ma anche nei templi superstiziosi con la libera sottomissione dei suoi, mediante l’altissima umiltà di Cristo, la predicazione degli Apostoli, la fede dei martiri che muoiono per la verità e che vivono con la verità” (De civ. Dei IV, 30)...

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (330), Vescovo di Verona (247), La città di Dio (66), Sant'Agostino (190), Cicerone (1)

A diversità dal mondo pagano colto, i cristiani riconoscono il valore dell’umiltà: “Noi cristiani rendiamo grazie al Signore nostro Dio, non al cielo e alla terra come disputa costui (Cicerone), ma a Colui che ha fatto il cielo e la terra, che queste superstizioni ha sovvertito non solo nel cuore dei credenti, ma anche nei templi superstiziosi con la libera sottomissione dei suoi, mediante l’altissima umiltà di Cristo, la predicazione degli Apostoli, la fede dei martiri che muoiono per la verità e che vivono con la verità” (De civ. Dei IV, 30).
Agostino non teme di confrontarsi con lo stesso Varrone, uomo peraltro religioso, autore acutissimo e dottissimo, come spesso Agostino ribadisce. Lui, il più dotto degli antichi, aveva mosso critiche alla cultura degli dei, così come era contenuta nella tradizione degli antichi per onorare gli dei. Nel contempo aveva svelato un sistema dei potenti che voleva il popolo nell’ignoranza nei riguardi di certi fatti o accaduti o anche falsi: meglio era “occultare con il silenzio o con le mura le iniziazioni misteriche” (De civ. Dei IV, 31, 1). In tal modo, osserva Agostino, lo stesso Varrone “ha svelato l’intera trama dei sedicenti sapienti dai quali Stati e popoli sarebbero governati. I demoni malvagi, che tengono sottomessi e ingannatori e ingannati, si dilettano in modi straordinari in queste falsità, dal cui dominio non libera se non la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro” (Ivi). Varrone critica gli idoli, intesi come statue e simulacri e afferma che “senza idoli si pratica una religione più spirituale” (De civ. Dei IV, 31, 2). Purtroppo, precisa Agostino, nemmeno Varrone si è liberato del tutto dai pregiudizi della tradizione. Altrimenti anche lui avrebbe concordato, e se ne sarebbe fatto promotore, sul fatto che “si deve onorare un solo Dio, il quale ordina il mondo al suo fine mediante il movimento razionale” (Ivi). Agostino conclude il paragrafo motivando le numerose citazioni di passi di vari autori. Spiega l’obiettivo: “Se vengono riportate queste testimonianze, vengono riportate per redarguire coloro che non vogliono rendersi conto da quanto grande e quanto malvagio potere dei demoni ci libera il singolare sacrificio di un sangue così santo e il dono della partecipazione dello Spirito” (Ivi). Varrone poi afferma che le teogonie sono state inventate dai poeti. I capi, annota, si sono serviti di quelle favole “per tenere sottomesso il popolo” (De civ. Dei IV, 32); hanno cioè considerato la religione come uno strumento di potere.
Eppure il potere è dato da Dio ai buoni e ai malvagi, ma in definitiva il governo del mondo è in mano sua che conosce ogni cosa ancor prima che accada: “Dio dunque che è autore e datore della felicità, perché è il solo vero Dio, proprio Lui dà i regni terreni e ai buoni e ai cattivi, e non sconsideratamente e per così dire a caso, perché è Dio, non per destino ma in conformità all’ordine delle cose e dei tempi occulto a noi, a Lui notissimo; e a quest’ordine dei tempi non serve come un suddito, ma Lui in persona come Signore lo regge e come moderatore lo dispone, mentre solo ai buoni dà la felicità... che sarà piena soltanto in quel regno dove nessuno è in condizione di essere un suddito” (De civ. Dei IV, 33). E anche la dispersione ovunque del popolo ebreo “è Provvidenza dell’unico vero Dio” (De civ. Dei IV, 34). Il tutto precontenuto e previsto dalle Sacre Scritture (Ivi).
Nell’ambito del confronto tra le due città, fin dalla prefazione al libro quinto, Agostino affronta proprio il tema della felicità, che non può provenire se non dalla fonte della felicità che è Dio. Di conseguenza, la vera felicità si può sperimentare solo nella Città di Dio e non in quella terrena: “Poiché consta che la felicità è la pienezza di tutte le cose che si devono desiderare, che non è una dea ma dono di Dio, di conseguenza nessuna divinità deve essere venerata dagli uomini se non Colui che è in grado di farli felici” (De civ. Dei V, praefatio).

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