La creazione nel progetto di Dio
Premessa la precisazione che creazione non corrisponde in tutto, nelle profondità del loro senso, a natura, in quanto creazione rimanda al Creatore, mentre natura non vi rimanda, almeno in prima battuta, l’enciclica focalizza l’argomento della creazione su un versetto salmodico: “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli” (77). Come creature, tutte le cose sono destinatarie dell’amore di Dio, “oggetto della tenerezza del Padre, che assegna loro un posto nel mondo” (77), perché, al dire di Dante, Lui è “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (ivi).
Premessa la precisazione che creazione non corrisponde in tutto, nelle profondità del loro senso, a natura, in quanto creazione rimanda al Creatore, mentre natura non vi rimanda, almeno in prima battuta, l’enciclica focalizza l’argomento della creazione su un versetto salmodico: “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli” (77). Come creature, tutte le cose sono destinatarie dell’amore di Dio, “oggetto della tenerezza del Padre, che assegna loro un posto nel mondo” (77), perché, al dire di Dante, Lui è “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (ivi).
Se dunque il mondo è opera della creazione di Dio, tutta la natura è demitizzata. L’uomo che è parte del mondo ha il compito di proteggere la natura nelle sue fragilità e di svilupparne le potenzialità (cf 78). L’enciclica, con il suo sguardo panoramico, riconosce in questo universo un sistema di sistemi in comunicazione tra loro e interagenti. La fede ne coglie i risvolti di bellezza misteriosa, mentre la libertà umana, se non usata con sapienza, può essere all’origine di tante negatività, dando luogo “all’appassionante e drammatica storia umana, capace di trasformarsi in un fiorire di liberazione, crescita, salvezza e amore, oppure in un percorso di decadenza e di distruzione reciproca. […] La Chiesa deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso” (79).
Ma Dio che sa trarre il bene anche dal male, ci illumina sul senso del travaglio della sofferenza che fa “parte in realtà dei dolori del parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore” (80). Del resto, Dio è presente nella creazione, cui ha imposto leggi di autonomia, e vi continua la sua azione creatrice per portare il tutto verso il suo fine (cf ivi). E precisa l’enciclica: “Lo Spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo” (cf ivi). Sicché vi è in tutte le cose come una spinta interiore a portare le proprie risorse dallo stato di potenzialità al loro naturale sviluppo.
Tuttavia, chiaramente dalla natura in genere si distingue l’essere umano che “dispone in sé di una identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico” (81). A ciò si aggiunge la capacità riservata all’uomo di una relazione che si muove da un tu ad un altro tu.
Dopo aver focalizzato il proprium dell’uomo, l’enciclica si premura di precisare: “Sarebbe però anche sbagliato pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano” (82). D’altra parte, è pur vero che quando l’uomo considera le cose puri oggetti, tende ad impossessarsene, creando ampie zone di ingiustizia e di violenza per accaparrarsele: “Il vincitore prende tutto” (ivi).
Dal punto di vista teologico, l’enciclica aggiunge una osservazione incontestabile, e molto interessante, al fine di rafforzare il senso del rispetto dovuto ad ogni realtà creata: “Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme con noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente, dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto” (83). Come a dire che il Risorto è il vero “fulcro della maturazione universale” (ivi).