La conversione di Agostino dopo il travaglio
Agostino non riusciva a liberarsi dai ceppi che lo avevano legato alle passioni, soprattutto alla libidine sessuale, appunto perché in lui fluttuavano insieme una volontà di bene e una volontà di male. Si potrebbe dire che la sua più che volontà era velleità, o almeno un non volere del tutto...
Agostino non riusciva a liberarsi dai ceppi che lo avevano legato alle passioni, soprattutto alla libidine sessuale, appunto perché in lui fluttuavano insieme una volontà di bene e una volontà di male. Si potrebbe dire che la sua più che volontà era velleità, o almeno un non volere del tutto. Così descrive il suo stato d’animo di trentenne: “L’animo comanda al corpo e immediatamente viene obbedito; comanda l’animo a se stesso e trova resistenze. Donde questa mostruosità? Non vuole del tutto; di conseguenza non comanda del tutto. Infatti in tanto comanda in quanto vuole. Non è dunque una mostruosità in parte volere e in parte non volere, ma è effetto della malattia dell’animo in quanto non in tutto si è ristabilito in salute”. E con una finissima capacità di autocoscienza Agostino dà un nome preciso a quello stato d’animo di indecisione: “Ero io che volevo e io che non volevo; io ero. Né pienamente volevo né pienamente non volevo. Pertanto ero in contesa con me stesso e venivo dissipato da me stesso”. Quello stato d’animo viene illuminato dall’alto dei 43-44 anni, già Vescovo di Ippona. Allora si sentiva in grado di indagare il guazzabuglio del suo cuore inquieto. Lo esprime con espressioni da aforismi di altissimo valore: “Ero esitante a morire alla morte e a vivere alla vita e in me aveva più vigore ciò che di peggio aveva cattivo odore piuttosto che il meglio a cui non ero abituato”.
Ne individua le ragioni. Erano soprattutto le inveterate abitudini che lo trattenevano da una decisione radicale, capace di tagliare i ponti con il suo passato di peccatore: “Mi trattenevano le frivolezze delle frivolezze e le vanità delle vanità, mie antiche amiche, e scuotevano di sotto la mia veste di carne e dal di sotto mi mormoravano: «Ci lasci?» e: «Da questo momento non saremo ulteriormente con te in eterno»”. A distanza di oltre un decennio, Agostino supplica Dio di tenerlo liberato da quelle indecorose passioni: “La tua misericordia le tenga lontane dall’anima del tuo servo! Quali sconcezze mi suggerivano, quali turpitudini!”.
Ma nel frattempo, nel suo animo esagitato subentra un raggio di sole che lo predispone ad aprire l’animo alla conversione: “(La continenza) mi sorrideva con un sorriso che mi esortava, come mi dicesse: «Tu non puoi fare ciò che questi e queste (le tante persone che hanno praticato la continenza) hanno fatto?»”. Certo, precisa solo che la liberazione dalle passioni libidinose non poteva essere frutto esclusivamente della buona volontà che in Agostino comunque era in stato di fragilità: “«Oppure, questi e queste lo possono in se stessi o non forse nel loro Signore Dio?»”.
Ed ecco affrettarsi il momento della liberazione. Da oltre il muro che cingeva il parco, probabilmente a Cassiciaco, dove si trovava in profonda meditazione e in un travaglio interiore acutissimo, gli giunge il canto di un ritornello popolar: “Prendi e leggi, prendi e leggi”. Nello stato di profondo travaglio in cui si trovava, lo interpretò come una voce dal cielo che lo esortava a prendere in mano il volume della Parola di Dio che aveva lasciato all’ingresso del parco: “Afferrai il volume dell’Apostolo, lo aprii e lessi in silenzio il capitolo sul quale per primo si puntarono i miei occhi: ‘Non nelle gozzoviglie e nelle ubriachezze, non nelle alcove e nelle impudicizie, non nel dissenso e nell’invidia, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue passioni’. E non volli ulteriormente leggere e non ce n’era bisogno. Senza dubbio, immediatamente con la fine della lettura di quel versetto, come in forza di una luce di sicurezza infusa nel mio cuore, tutte le tenebre del dubbio si dissolsero”. La Parola di Dio ebbe in lui l’effetto sacramentale di una radicale conversione. Il resto non ne sarà che la felice conseguenza.
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