L’Eucaristia pegno della gloria futura
Un aspetto molto importante dell’Eucaristia e pochissimo conosciuto, appunto perché trascurato, è quello che riguarda il suo rapporto con il mondo dei risorti. Come infatti precisa una antica preghiera, l’Eucaristia ha una triplice dimensione temporale in cui si esprime come potenza di salvezza: il passato come memoriale, il presente come comunicazione dei beni di salvezza contenuti nell’Eucaristia, e il suo essere pegno del mondo futuro, il mondo dei risorti in Cristo: “O sacro convito nel quale ci nutriamo di Cristo, si fa memoria della sua passione; l’anima è ricolmata di grazia e ci è donato il pegno della gloria futura” (CCC 1402).
Un aspetto molto importante dell’Eucaristia e pochissimo conosciuto, appunto perché trascurato, è quello che riguarda il suo rapporto con il mondo dei risorti. Come infatti precisa una antica preghiera, l’Eucaristia ha una triplice dimensione temporale in cui si esprime come potenza di salvezza: il passato come memoriale, il presente come comunicazione dei beni di salvezza contenuti nell’Eucaristia, e il suo essere pegno del mondo futuro, il mondo dei risorti in Cristo: “O sacro convito nel quale ci nutriamo di Cristo, si fa memoria della sua passione; l’anima è ricolmata di grazia e ci è donato il pegno della gloria futura” (CCC 1402). Pegno sta per preludio e caparra. Gloria futura sta per pienezza di vita da risorti nel Crocifisso risorto. Dunque, chi si nutre dell’Eucaristia porta in sé il germe della risurrezione gloriosa e pregusta la gioia della vita da risorti, mentre ne porta in cuore la caparra.
Allude esattamente alla condizione definitiva del credente che si nutre di Lui Eucaristia. Infatti, Gesù nell’ultima Cena, nel celebrare la sua Pasqua per immetterla nel tempo, rimanda anche alla Pasqua eterna: «Io vi dico che non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno del Padre mio» (cf CCC 1403). Avendone coscienza, la Chiesa invoca un affrettarsi di quella fase definitiva: «Marana tha», cioè «Vieni, Signore Gesù». E ancora: «Venga la tua grazia e passi questo mondo» (cf CCC 1403).
Di fatto, la presenza di Cristo nell’Eucaristia è nascosta (cf CCC 1404), è velata dall’umile segno del pane e del vino. È comunque certa: «Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo» (ivi). Questo testo della lettera a Tito viene proclamato in ogni celebrazione della Messa, più precisamente nell’ “embolismo”, cioè nel “commento” alla preghiera del Padre nostro. Come viene proclamato nella terza Preghiera Eucaristica, al momento del ricordo dei defunti, un ulteriore richiamo a quella che definiamo la dimensione escatologica dell’Eucaristia, cioè l’oltre vita terrena, nella vita ultima, definitiva, oltre il tempo, appunto nel Regno dei risorti, chiedendo “di ritrovarci insieme a godere della tua gloria, quando, asciugata ogni lacrima, i nostri occhi vedranno il tuo volto e noi saremo simili a te, e canteremo per sempre la tua lode, in Cristo, nostro Signore“ (ivi).
Se dunque, per rivelazione delle Sante Scritture, noi siamo indirizzati verso “cieli nuovi e nuova terra nei quali abiterà la giustizia” (2Pt 3, 13), cioè il Paradiso, nutrimento più adeguato e segno più esplicito non abbiamo dell’Eucaristia, “pane che è farmaco di immortalità, antidoto contro la morte, alimento dell’eterna vita in Gesù Cristo”, come la definisce Sant’Ignazio di Antiochia (cf CCC 1405).