Il senso dell’indulgenza
Ogni Anno Santo è caratterizzato fondamentalmente dalle indulgenze. Cogliamo l’occasione per una parola di chiarimento che aiuti a superare equivoci macroscopici che nella storia della Chiesa, soprattutto da cinque secoli a questa parte, hanno ingenerato non poca confusione e motivi di critica.
Ogni Anno Santo è caratterizzato fondamentalmente dalle indulgenze. Cogliamo l’occasione per una parola di chiarimento che aiuti a superare equivoci macroscopici che nella storia della Chiesa, soprattutto da cinque secoli a questa parte, hanno ingenerato non poca confusione e motivi di critica.
Poiché l’argomento è alquanto complesso, conviene presentarlo in due interventi. Chiariamo anzitutto il termine “indulgenza”. Lo si capisce meglio nell’aggettivo qualificativo corrispondente “indulgente”; quando di una persona si dice che è indulgente si pensa alla sua bontà d’animo che sa fare sconti sul dovuto, fino alla cancellazione del debito, economico o spirituale che sia. Generalmente viene evocata nel termine soprattutto la figura materna, disposta a tutto per il bene dei figli, ai quali mai sarebbe determinata a fargliele pagare loro tutte. Di fatto tende per natura ad essere indulgente. Senza con ciò lasciar correre. Al contrario: fa sconti fino al 100% per non lasciare i figli nell’angoscia di non farcela, mettendoli invece nella condizione di poter ricominciare da capo. In fondo, è un atto di fiducia, che infonde il coraggio di riscattarsi da una condizione brutta, magari di cattiveria.
Dio, in modo sommo, senza mai stancarsi, fa ricorso all’indulgenza, cioè al suo inesauribile amore misericordioso, grazie al quale all’uomo viene data l’opportunità di essere salvato e di ricominciare una vita nuova. Potremmo dire che è specializzato in quest’arte dell’indulgenza. Gli è connaturale e congeniale. Anche perché sa bene di che pasta siamo impastati: «Egli sa di che siamo plasmati; ricorda che noi siamo polvere» (Sal 103). Ci viene incontro. Per pura gratuità e non per nostri meriti precedenti. Il primo atto di indulgenza misericordiosa è stato il Battesimo, con il quale ci ha “strappati dal potere delle tenebre”, quando eravamo prigionieri del sistema del peccato originale. Con il Battesimo ci ha fatti creature nuove, riscattati e liberati dal potere di satana. Certo, la nostra fragilità umana rimane tutta. E sulla fragilità fa leva la superbia egoista innata con noi e tenuta vigorosa da satana che ne è la personificazione, che ci sospinge a mettere Dio in sfiducia per collocare al suo posto il nostro io. Ecco il peccato. Ma Dio non ci lascia abbandonati a noi stessi, prede delle incursioni di satana. Ogni volta che pecchiamo, se apriamo il nostro cuore nell’umile fede alla sua indulgenza, cioè alla sua misericordia, Egli ci perdona.
Ma che significa “ci perdona”? In che cosa consiste il perdono, come frutto dell’indulgenza misericordiosa di Dio? Non certo in una sorta di copertura da carta da parati, da benda da medicazione che lascia intatta la parete fatiscente o la piaga in putrefazione. Dio non fa finta di perdonarci. Il suo perdono incide sul nostro essere come atto di risanamento del nostro “vecchio uomo” per usare una immagine di Paolo. Distrugge in noi il peccato per salvare noi. È come un atto chirurgico spirituale, anche se compiuto in modo indolore, come sotto anestesia. A noi compete solo la fede che consente a Dio di compiere l’atto di risanamento della vita interiore, mediante Cristo che ne è l’autore con il suo Mistero Pasquale, nel dono dello Spirito Santo. Per essere con noi indulgente, cioè per perdonarci risanandoci, Dio non esige da noi particolari penitenze onerose come se l’indulgenza che perdona fosse strappata a Dio proprio dai meriti acquisiti dalle penitenze compiute. No. Dio perdona sempre gratuitamente. Perdona chiunque trova umile, come il pubblicano della parabola, rispetto al fariseo nel tempio, o come il ladro sulla croce. Ed è per Dio, nel suo essere mistero di amore trinitario, la sua gioia. La sua festa. È lo scopo della sua Incarnazione, Morte e Risurrezione.