Condiscepoli di Agostino
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I regni impersonati da una banda di ladri

All’inizio del libro quarto, Agostino riprende in considerazione l’accusa perpetrata contro il cristianesimo di essere la causa della distruzione di Roma per opera di Alarico...

Parole chiave: Condiscepoli di Agostino (104), La città di Dio (66), Sant'Agostino (190)

All’inizio del libro quarto, Agostino riprende in considerazione l’accusa perpetrata contro il cristianesimo di essere la causa della distruzione di Roma per opera di Alarico. Di fatto, osserva, una massa di ignoranti viene persuasa da persone colte a rinfacciare alla religione cristiana, l’unica apportatrice di salvezza e di verità, tutte le sventure che subiscono, senza riflettere sul fatto che Dio ha tollerato quella distruzione con l’intento di distogliere i Romani dai beni effimeri. Al fine dunque di ammonirli più che di punirli (Cfr. De civ. Dei, IV, 1).
Agostino aveva promesso di trattare delle istituzioni civili dei Romani e della ragione per la quale il Dio vero aveva favorito l’accrescimento dell’impero, mentre quelli che essi ritenevano dei non li hanno affatto aiutati, anzi li hanno danneggiati con l’inganno e con l’errore (Cfr. De civ. Dei, IV, 2). Davvero dunque gli dei sono i veri fautori della grandezza dell’Impero romano? Ecco le riflessioni di Agostino: “Vediamo ora quale sia il motivo per cui osano attribuire una così grande estensione e una così prolungata durata dell’Impero romano a quegli dei che sostengono di aver venerato onestamente, benché con gli ossequi dei giochi turpi e attraverso gli uffici di uomini disonesti” (De civ. Dei, IV, 3). Ma come fanno a vantarsi della grandezza dello Stato, obietta Agostino, quando la sua popolazione viveva nella infelicità, perché “sempre occupati nelle imprese guerresche e nel sangue dei cittadini o dei nemici, sangue umano tuttavia, in preda al timore della morte e a una sanguinaria cupidigia”? (Ivi). Meglio vivere da poveri ma in pace (Cfr. Ivi). In ogni caso, è auspicabile che il potere sia gestito da persone oneste e pie che amano la pace, in vista del bene comune: “Se si adora il vero Dio e gli si presta sevizio con un culto autentico e con onesti costumi, è utile che i buoni abbiano il potere ovunque e a lungo… In questa terra dunque il governo dei buoni non è concesso a loro favore, ma dell’umanità… La persona onesta anche se è schiava è libera; il malvagio, anche se ha il potere è uno schiavo e non di un solo individuo, ma, ciò che è più grave, di tanti padroni quanti sono i suoi vizi” (Ivi).
D’altra parte, osserva Agostino, solo chi governa con onestà cerca la giustizia, su cui fondare il suo regno. Ed ecco un suo famoso aforisma: “Quando viene tolta la giustizia, che cosa sono i regni se non grandi latrocini? Anche perché, pure i latrocini che cosa sono se non piccoli regni?” (De civ. Dei, IV, 4: “Remota iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna?”). Fa sorridere l’episodio narrato nei riguardi di Alessandro Magno e un pirata. Il quale pirata, alla domanda di Alessandro sul perché gli fosse venuto in mente di infestare i mari, quegli rispose che equivaleva alla volontà di Alessandro di conquistare il mondo, con la differenza che lui era ritenuto un pirata perché infestava i mari con una piccola flotta, mentre Alessandro era considerato un grande condottiero dal momento che comandava una grande flotta (Cfr Ivi).
Nonostante l’Impero romano fosse ormai grande e potente, osserva Agostino, rivelò le sue falle e prestò il fianco ad altri piccoli latrocini, che comunque si comportavano con il medesimo sistema violento dell’imperialismo, cioè con la sua stessa logica. È il caso, ad esempio, della sollevazione di pochi gladiatori che hanno intimorito uno Stato come quello romano: “Dicano qual dio avrebbe aiutato costoro al punto che, da una piccola e disprezzabile banda di briganti qual era, pervenissero ad un regno che si faceva temere dalle grandi forze e risorse romane” (De civ. Dei, IV, 5).

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