“Fin da ragazzo ero un gran peccatore”
Nella sua autobiografia spirituale, Le Confessioni, sant’Agostino in forma di lode a Dio, che l’aveva salvato da tanti possibili naufragi morali, appena divenuto vescovo all’età di 42 anni, ripercorre la sua vita fino alla sua conversione maturata nella Pasqua del 387, con il Battesimo ricevuto dal vescovo di Milano, Ambrogio...
Nella sua autobiografia spirituale, Le Confessioni, sant’Agostino in forma di lode a Dio, che l’aveva salvato da tanti possibili naufragi morali, appena divenuto vescovo all’età di 42 anni, ripercorre la sua vita fino alla sua conversione maturata nella Pasqua del 387, con il Battesimo ricevuto dal vescovo di Milano, Ambrogio.
Ripensando agli anni della sua puerizia, quella che segue l’infanzia e precede l’adolescenza, gli riaffiorano alla memoria i ricordi di un ragazzo birbantello, diremmo oggi. Lui si autodefinisce così: “Ero ancora un ragazzetto, e un grande peccatore” (“Tantillus puer et tantus peccator”, Conf. 1,12.19), benché riconoscesse nella puerizia un grande dono di Dio (cfr Conf. 1, 20.31). A che cosa si riferiva Agostino? Principalmente alla sua ritrosia nei confronti dei sistemi educativi scolastici di allora, che non esitavano a ricorrere persino alla frusta e alla verga per costringere gli alunni ad imparare. Ne riparleremo. Da Vescovo riconosce che non avrebbe imparato, specialmente la lingua greca che gli era indigesta, se non ne fosse stato costretto. E in questo senso di ribellione scorgeva una radice di quel peccato originale, su cui tornerà frequentemente, origine di ogni forma di ribellione a ciò che fa il nostro vero bene. Ma, rievocando gli anni della puerizia, non si vergogna di palesare il fatto che, per amore del gioco e degli spettacoli, non esitava ad ingannare maestri e genitori, raccontando loro menzogne (cfr Conf. 1,19.30). Questi comportamenti preludevano ad altri assai più gravi che avrebbero caratterizzato la sua adolescenza. Tra le più turbolente. Nell’adolescenza di Agostino si trova rispecchiata la maggior parte degli adolescenti di oggi. Voleva amare ed essere amato, anche con comportamenti moralmente illeciti. E ciò gli procurava piacere. Non ne provava affatto rimorso. Anzi, si sforzava di superare in questo i suoi coetanei. Specialmente raggiunti i sedici anni, segnati da una incontenibile e indicibile immoralità (cfr Conf., inizio Libro secondo). Vi è poi un episodio che gli si è inciso nella memoria morale: il furto delle pere. Con un gruppo di amici aveva tardato in piazza fino a tarda sera. Giunto vicino a casa, con la complicità degli amici, ha devastato un albero di pere, ancora acerbe. Immangiabili, precisa, persino ai porci. Perché ha compiuto questo gesto? Come lui annota: solo per il gusto di fare il male! Quel gusto di fare il male per il male altro non era se non un pollone che si sviluppava in lui dalle radici del peccato originale.
† Giuseppe Zenti
Vescovo emerito di Verona
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