Come sarà la vita dei risorti
Quale sarà la vita dei santi, quando saranno risorti? Non avendone avuta l’esperienza, Agostino si appella alla Parola di Dio: “I santi vivranno nella pace di Dio che certamente sorpassa ogni intelligenza” (De civ. Dei, XXII, 29.1).
Quale sarà la vita dei santi, quando saranno risorti? Non avendone avuta l’esperienza, Agostino si appella alla Parola di Dio: “I santi vivranno nella pace di Dio che certamente sorpassa ogni intelligenza” (De civ. Dei, XXII, 29.1). In quella pace già vivono gli angeli fedeli a Dio, ma poiché abbiamo già ricevuta la caparra dello Spirito e siamo stati trasferiti nel regno di Cristo, “abbiamo cominciato ad appartenere a quegli angeli, assieme ai quali ci sarà comune la stessa dolcissima città di Dio, su cui abbiamo già scritto tanti libri” (Ivi). E gli angeli già ci considerano loro concittadini (Cfr. Ivi). Altro quesito di Agostino: i santi vedranno anche con gli occhi del corpo? La sua risposta è che in ogni caso “saranno di ben altro potere (facoltà), se mediante essi si vedrà l’incorporea natura di Dio, la quale non è limitata dallo spazio, ma è in ogni spazio” (De civ. Dei, XXII, 29,3). In effetti, “Dio sarà noto a noi e sarà visibile in modo da essere visto con lo spirito da ciascuno di noi, da uno nell’altro, in se stesso nel cielo nuovo e nella terra nuova e in ogni creatura che ci sarà, attraverso i corpi in ogni corpo. Saranno resi palesi nella reciprocità anche i nostri pensieri” (De civ. Dei, XXII, 29.6).
Ed ecco le pagine più liriche del libro e dell’intera opera. A cominciare dall’affermazione che la nostra felicità sarà smisurata, non corrosa da nessun male, perché si compirà in Dio che è il fine dei nostri desideri: “Quanto grande sarà quella felicità dove non ci sarà nessun male, nessun bene sarà nascosto, ci si occuperà nelle lodi di Dio, il quale sarà il Tutto in tutti… Ci sarà piena, certa, sicura, sempiterna felicità… Lì non sarà fatto ciò che sarà sconveniente… Vi sarà una vera pace… Premio della virtù sarà l’Essere stesso, del quale nulla vi può essere di migliore e di più grande… Egli stesso (Dio) sarà il fine dei nostri desideri, Lui che senza fine sarà visto, senza disgusto sarà amato, senza fatica sarà lodato. Questo dono, questo amore, questa azione sarà certamente comune a tutti come la stessa vita eterna” (De civ. Dei, XXII, 30.1). Interessante la prospettiva di Agostino sull’assenza di invidia nella vita beata, come evidenzierà dopo nove secoli lo stesso Dante Alighieri nel suo Paradiso: “E quella beata città vedrà in sé il grande bene che nessun inferiore invidi il superiore… ciascuno non vuole essere ciò che non ha ricevuto … Così uno avrà un dono inferiore a quello dell’altro, in modo che abbia anche questo dono, quello di non volere di più” (De civ. Dei, XXII, 30.2).
Lo stesso libero arbitrio sarà davvero libero, nella condizione di beatitudine eterna, quando sarà libero radicalmente dal piacere del peccare: “Né pertanto non avranno il libero arbitrio per il fatto che i peccati non li potranno dilettare. A maggior ragione (il libero arbitrio) sarà libero dal piacere del peccare, liberato fino alla irreversibile inclinazione del non peccare… Come infatti la prima immortalità ci fu quando Adamo con il peccare ha perso di poter non morire, l’ultima sarà il non poter morire; così il primo libero arbitrio (consisteva nel) poter non peccare, l’ultimo (consiste) nel non poter peccare” (De civ. Dei, XXII, 30.3)
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