Lo Hobbit, una trilogia poco riuscita
(Nuova Zelanda/Usa, 2014)
regia: Peter Jackson
con: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Cate Blanchett, Orlando Bloom, Evangeline Lilly, Luke Evans
durata: 144 min.
Valutazione Cnvf: consigliabile/problematico
Si conclude dunque l’impresa. Quella di Bilbo Baggins (Martin Freeman), arruolato come “scassinatore” dalla compagnia dei nani capitanata da Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage) per strappare il tesoro di proprietà del loro popolo dalle grinfie del drago Smaug. E anche quella di Peter Jackson, che dopo la trilogia de Il signore degli anelli ha voluto dare veste cinematografica al libro di J.R.R. Tolkien che introduceva abitanti e avventure della Terra di mezzo.
A conclusione di questo ultimo capitolo, possiamo dire che l’operazione è riuscita solo in parte. Vengono infatti confermate tutte le perplessità che si avevano all’inizio. Là dove ne Il signore degli anelli, opera ponderosa, già editorialmente divisa in tre tomi, si trattava di condensare in immagini più di mille pagine, Lo Hobbit presentava la difficoltà opposta. Nato come libro per bambini, di svolgimento e quantità di scrittura non imponenti, per quanto magnifico, esso richiedeva, avendo scelto l’operazione commerciale di una nuova trilogia, di inventare nuovi personaggi e nuove situazioni.
Ecco quindi la storia d’amore tra la giovane elfa guerriera Tauriel (Evangeline Lilly) e il nano Kili (Aidan Turner), che rischia francamente di essere posticcia. Ecco il ruolo predominante assegnato nella prima parte del film a Bard l’arciere (Luke Evans), che risulta invece come sviluppo del personaggio e delle situazioni narrative più interessante.
Tuttavia predomina in tutti e tre i film, e in questo in particolare, un’aria cupa e quasi depressiva, con i toni del marrone nella coloritura e con freddo e ghiaccio come elementi naturali dominanti, che fanno perdere di vista proprio il personaggio principale. È come se l’anello dell’invisibilità trovato da Bilbo Baggins avesse in qualche modo condizionato anche gli sceneggiatori (che insieme allo stesso Jackson sono le fidate Fran Walsh e Philippa Boyens, con l’ausilio stavolta di Guillermo del Toro, che avrebbe dovuto anche essere il regista, non confermato in fase di produzione), facendo loro dimenticare le singole psicologie a scapito di scene collettive un po’ troppo lunghe. Vero è che la battaglia delle cinque armate dà il titolo al film, ma la pazzia shakespeariana di Thorin e i dubbi di Bilbo sono un po’ troppo tirate via. Tanto che, usciti dal cinema, vien voglia di riguardare la precedente trilogia, davvero molto più avvincente.