L’agro e il dolce nel Novanta di Virzì
Notti magiche
(Italia, 2018)
Regia: Paolo Virzì
Con: Mauro Lamantìa, Giovanni Toscano, Irene Vetere, Roberto Herlitzka, Giancarlo Giannini
Durata: 100 minuti
Una specie di legge non scritta del cinema dice che, quasi sempre, quando un regista arriva a realizzare un film che parla di film è perché sta perdendo l’ispirazione. Ci sono le debite eccezioni, ovviamente, come Effetto notte (1976) di Francois Truffaut, che è un capolavoro.
Non ha perso l’ispirazione Paolo Virzì, anche se si arrischia in un’impresa che poteva essere pericolosissima sul piano artistico.
Con buona dose di autobiografia, scrivendo il film con Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, l’autore toscano racconta di un trio di giovani aspiranti sceneggiatori a Roma nel 1990. Due arrivano da fuori: Antonio (Mauro Lamantia), siciliano colto fin quasi a risultare irritante, e Luciano (Giovanni Toscano), che non a caso è di Livorno (come Virzì) e di famiglia operaia. La terza, Eugenia (Irene Vetere), è invece figlia ribelle (almeno in apparenza) della buona borghesia romana.
È l’anno dei mondiali di calcio in Italia, che i tifosi ricordano per i goal di Totò Schillaci e per l’amara eliminazione in semifinale contro l’Argentina, e gli appassionati di musica leggera per la canzone interpretata da Edoardo Bennato e Gianna Nannini, il cui incipit del ritornello fa da titolo al film di Virzì.
Ma non è solo l’azzurro della nazionale il colore che predomina. Ci sono anche il giallo e persino il nero, dato che si parla della misteriosa morte di un produttore cinematografico, che pare veder coinvolti i tre giovani protagonisti.
Quasi un pretesto per un viaggio nella memoria di un periodo del cinema italiano che forse non è stato tra i più felici: si stavano definitivamente affermando le televisioni private con le loro sregolate regole pubblicitarie; i vecchi maestri (Fellini, Antonioni, Risi, Monicelli, Scola) erano sempre più stanchi; i giovani faticavano ad affermarsi.
Paolo Virzì è tutt’altro che un regista incline alla nostalgia e al facile effetto di rimembranza. Anzi: da vero, forse fra gli ultimi, erede della grande tradizione della commedia all’italiana non trascura di affondare il coltello, anche impietosamente, nei difetti e nei vizi di un mondo che fin dall’epoca descritta nel film egli stesso ha imparato a conoscere molto bene.
Giancarlo Giannini è il produttore Leandro Saponaro che finirà con l’auto nel Tevere. Roberto Herlitzka l’anziano sceneggiatore Furio (come Furio Scarpelli, uno dei grandi padri della scrittura della commedia all’italiana).
Attrici sul viale del tramonto e aspiranti star si susseguono entrando in scena per tratteggiare un mondo tutt’altro che ideale, che Virzì descrive miscelando sapientemente l’agro e il dolce, con risultato finale del tutto convincente.
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