Il potere e le domande che solleva
Le confessioni
(Italia, 2016)
regia: Roberto Andò
con: Toni Servillo, Daniel Auteil, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Lambert Wilson
durata: 100’
Giudizio Cnvf: consigliabile/problematico/dibattiti
Un film che racconta di un luogo appartato dove si raduna un gruppo di potenti e con molti misteri nell’intreccio non può che richiamare alla memoria Todo modo, libro di Leonardo Sciascia e pellicola del 1976 di Elio Petri.
Confronto che avrebbe titolo a far tremare i polsi a chiunque e che, va detto, regge alla prova e produce un risultato più che soddisfacente.
Nel film di Petri erano Marcello Mastroianni e Gian Maria Volonté (che sembrava un calco di Aldo Moro, tanto più impressionante a posteriori se si pensa che solo due anni dopo lo storico dirigente della Democrazia Cristiana fu rapito e ammazzato dalle Brigate Rosse) a misurarsi in una contesa intellettuale ed emotiva sul potere e sulle sue conseguenze, positive e negative. Qui sono Toni Servillo e Daniel Auteil, e la statura degli interpreti è allo stesso livello, così come la storia che ci fa ben riflettere su dinamiche che sembrano davvero senza tempo.
Roberto Andò, che già aveva toccato i temi della politica col precedente Viva la libertà!, ambienta la sua storia in un albergo di lusso, nel quale sono riuniti i ministri del G8 per discutere e deliberare provvedimenti economici di notevolissima rilevanza. Insieme a loro ci sono una scrittrice di libri per bambini (Connie Nielsen) e il monaco Roberto Salus (Toni Servillo), che raccoglierà le confessioni dei partecipanti, in particolare del direttore del Fondo monetario internazionale, Daniel Rochè (Daniel Auteil).
Non sapremo nulla del contenuto di questo colloquio, ma Rochè, l’indomani, verrà trovato morto nella sua stanza. Il tocco di giallo serve, proprio come nella scrittura di Sciascia, a mettere in evidenza l’ipocrisia di fondo di ogni personaggio della storia. Tutti hanno qualcosa da nascondere e lo nascondono dietro parole che vogliono dire altro dal loro significato letterale e comportamenti da marionette di un teatro dell’assurdo che si presenta con un’apparenza di razionalità.
La dimensione visiva è quasi metafisica, ricorda spesso pittori come De Chirico, e si adatta alla perfezione al disagio espresso da personaggi come il ministro italiano interpretato da Pierfrancesco Favino.
È cinema morale, non nel senso che vuole impartire lezioni di etica spicciola con la presunzione di essere superiore a ciò che racconta, ma proprio perché nel racconto stesso si calano temi e interrogativi che ciascuno di noi si dovrebbe porre ogniqualvolta accadano incontri con la dimensione del potere.