“Cake”, storia di cadute e rinascite
Cake
(Usa, 2014)
regia: Daniel Barnz
con: Jennifer Aniston, Anna Kendrick, Britt Robertson, Adriana Barraza
durata: 102 min.
Giudizio Cnvf: consigliabile/problematico/dibattiti
Claire Bennett è una donna che sta molto male. È separata dal marito. Soffre di dolori lancinanti, postumi di un incidente. Fa ampio uso di antidolorifici e antidepressivi. Frequenta un gruppo di auto aiuto, dal quale verrà persino allontanata dopo il suicidio di una delle partecipanti e a causa della sua reazione alla tragedia. L’unica che sembra in qualche modo capirla è la colf messicana, che non le risparmia né i rimproveri né le attenzioni che possono far bene al corpo e all’anima.
È un buon film di interpreti, questo Cake scritto da Patrick Tobin e diretto da Daniel Barnz. Siamo di fronte a quella media di professionalità statunitense che, anche per le molte occasioni di impegno e di lavoro che attori e attrici hanno nel mondo dello spettacolo americano, è sempre tendente verso l’alto. Jennifer Aniston (Claire) ha raggiunto il successo grazie alla sua verve di attrice brillante e comica, prima in serie televisive come Friends e poi in film che non hanno lasciato un gran segno, ma qui dimostra di saperci fare anche quando si tratta di impegnarsi sul registro drammatico. Anna Kendrick (Nina) è una giovane e bravissima attrice tuttofare (sa anche cantare e ballare molto bene, come ha dimostrato in altre occasioni). Adriana Barraza (Silvana, la colf) ha già un ottimo curriculum, che per il momento è culminato nella nomination all’Oscar per la parte di Amelia in Babel (2006) di Alejandro Gonzàlez Inarritu, ma che certamente non le farà mancare altri riconoscimenti di critica e di pubblico.
In questo caso molto si gioca sulla capacità di dare visibilità (anche con il trucco di origine teatrale, come le cicatrici che devastano il volto e il corpo di Claire) a un dolore interiore che ha origini profonde e difficilmente scandagliabili senza un lavoro su di sé che richiede pazienza, coraggio, resistenza e motivazione.
Sono frequenti le sconfitte e le cadute, come in ogni percorso esistenziale di questo tipo. Claire non è una donna (né un personaggio) facile, né per gli altri né per se stessa. La rabbia si somma all’autocommiserazione, l’intolleranza allo sconforto. Questo la rende umana, complicando quel principio di identificazione che è una delle basi sulle quali si sorregge un film, ma avvicinandola a esperienze o persone che possiamo davvero aver conosciuto. Così, soffrendo con lei e con lei arrabbiandoci, urlando, piangendo, possiamo scoprire qualcosa che ci sia utile anche nei nostri percorsi quotidiani.