Un arcobaleno invece che una preghiera: ma disegnare ci aiuta a ripartire
Un amico, all’inizio di questa pandemia, mi faceva notare come essa rientrasse in una sorta di “ciclo storico”, ma evidenziava come per la prima volta – invece di preghiere a Dio – ci auto-dicevamo che «andrà tutto bene»; anziché urlare necessità e speranze al Cielo, cantavamo tra noi sui balconi; al posto di costruire altari e capitelli disegnavamo arcobaleni: l’apoteosi dell’ateismo e dell’individualismo...
Un amico, all’inizio di questa pandemia, mi faceva notare come essa rientrasse in una sorta di “ciclo storico”, ma evidenziava come per la prima volta – invece di preghiere a Dio – ci auto-dicevamo che «andrà tutto bene»; anziché urlare necessità e speranze al Cielo, cantavamo tra noi sui balconi; al posto di costruire altari e capitelli disegnavamo arcobaleni: l’apoteosi dell’ateismo e dell’individualismo.
Se la prendeva in particolare con le mamme che costringevano i poveri bambini a colorare lenzuola e stracci bianchi, quasi fossero dei novelli totem: diceva che così avevamo toccato il fondo (prima di accorgersi che alcune aziende stavano commercializzando apposite bandiere con tanto di arcobaleno e scritta).
Non so se la sua avversione fosse dovuta ad un attaccamento a forme classiche religiose o al fatto che avesse dovuto anche lui aiutare i figli in questa impresa artistica. E lui – ragioniere fin dalla nascita – di disegnare e far disegnare non ne voleva proprio sapere. Un rifiuto comprensibile, ma non giustificabile, nemmeno da un punto di vista storico e culturale.
La Giornata mondiale del disegno (27 aprile) è occasione favorevole per ricordare come esso sia qualcosa di connaturato all’uomo. Dalla preistoria ai giorni d’oggi, l’uomo ha sempre tracciato segni sulle più diverse superfici e con differenti modalità, per esprimere le sue emozioni e per manifestare il suo desiderio di comunicazione e comunione. Vi è un unico flusso di narrazione della vita personale – con speranze, preoccupazioni, intuizioni, abitudini, ecc. – che va dai disegni dei nostri antenati nelle grotte di Rouffignac (32mila anni fa) a quelli che in questa pandemia realizzano i bambini sulle bandiere, i writers sui muri e i grafici con i loro meme. Quasi a dire che l’uomo può raccontarsela cerebralmente di essere autonomo, di non aver bisogno degli altri e di Altro, ma tutto poi dice che siamo fatti per la relazione; e le necessità lo evidenziano in maniera particolare.
D’altra parte, siamo accaniti utilizzatori della scrittura (alfabetica e non, sui vecchi e i nuovi media) che non è altro che una “specializzazione” del disegno, un’evoluzione nel cammino della comunicazione umana. Da notare, poi, come il disegno scelto per le bandiere in questa pandemia sia – consapevolmente o meno – molto significativo. L’arcobaleno non è semplicemente qualcosa di bello, bensì un segno universale di speranza, radicata non su una banalità ma su una certezza che apre una prospettiva: siamo relazione.
Ogni uomo può guardare a Dio certo che non userà verso di lui l’arco della violenza ma quello della comunione, e agli altri uomini sapendo che la voglia e la spinta a costruire ponti sono iscritte dentro di noi più profondamente di quelle a innalzare muri. E se il materiale di supporto utilizzato per questi disegni è molto deperibile, nulla può alterare e degradare la natura umana. Quella da cui ripartire per “disegnare” una nuova umanità, libera da scarabocchi come indifferenza e individualismo.
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