Nessun Paese è esentato dalla sfida di combattere la tratta delle persone
Non si può avere un mondo sviluppato, pacifico e sicuro fino a quando milioni di persone sono private della loro dignità e della loro libertà. Su questa certezza si basa la Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani...
Non si può avere un mondo sviluppato, pacifico e sicuro fino a quando milioni di persone sono private della loro dignità e della loro libertà. Su questa certezza si basa la Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani, che dal 2014 viene celebrata ogni 30 luglio. Proprio in quella data, nel 2010, l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato il Piano d’azione globale per la lotta alla tratta di persone. Richiamando un percorso già intrapreso negli anni precedenti, così afferma nella risoluzione 64/293: “Noi, gli Stati membri delle Nazioni Unite, riaffermiamo i nostri impegni a porre fine al crimine efferato della tratta di persone, in particolare donne e bambini, esprimere la nostra determinazione a prevenire e combattere la tratta di persone, proteggere e assistere le vittime della tratta di persone, perseguire i reati di tratta di persone e promuovere partenariati per rafforzare il coordinamento e la cooperazione e decidere di tradurre la nostra volontà politica in azioni concrete”. In particolare fu importante il prendere posizione netta e riconoscere come attività criminale, da condannare e perseguire, non solo ciò che è evidentemente azione schiavista, ma anche tutto quel sottobosco che ha a che fare con il trasporto e l’accoglienza di persone, quando è fatto “mediante la minaccia o uso della forza o altre forme di coercizione, di rapimento, di frode, di inganno, di abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità” e quando ha come scopo lo sfruttamento in ambito lavorativo, sessuale o per il prelievo di organi. A oltre un decennio di distanza, si deve comunque fare i conti con oltre 40 milioni di persone nel mondo che sono vittime di tratta; tra queste, oltre il 70% sono donne e circa il 23% sono minori, con quest’ultimo dato in continua crescita. Viene fatto notare, tra l’altro, che si tratta di una piaga che tiene unito tutto il pianeta, dato che nessun Paese può dirsi estraneo, perché terra di origine, transito o destinazione delle vittime. Nei Paesi Ue, e non solo, la finalità più comunemente segnalata è quella per lo sfruttamento sessuale (il 95% di donne e ragazze). L’emergenza Covid non ha bloccato la tratta, ma anzi rischia di creare condizioni ancor più favorevoli agli sfruttatori, ovvero grandi disparità globali e il blocco dei vari percorsi volti allo sviluppo sostenibile. A rendere difficoltosa questa lotta è anche il fatto, riscontrato un po’ ovunque, che le vittime – anche quando riescono a ritrovare la libertà – faticano a fidarsi delle istituzioni e delle persone: non cercano cura e sono restie alle denunce, spesso perché si sono sentite precedentemente incomprese, ignorate o non abbastanza sostenute. Per questo gli sforzi internazionali sono volti sempre più a testimoniare ai sopravvissuti la disponibilità all’ascolto. Solo insieme ad essi, infatti, si possono identificare vittime e carnefici, imparare quali misure possono essere più efficaci, pensare percorsi di vera riabilitazione.
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