Pregare con la musica di Durante è un’esperienza arricchente
La figura di Francesco Durante (1684-1755) occupa uno spazio di assoluto rilievo nella storia della musica europea. Oggi conosciuto unicamente da una ristretta cerchia di studiosi e appassionati di musica barocca, in vita fu tra i più rinomati insegnanti di composizione del continente, nonché richiestissimo compositore di musica sacra.
La figura di Francesco Durante (1684-1755) occupa uno spazio di assoluto rilievo nella storia della musica europea. Oggi conosciuto unicamente da una ristretta cerchia di studiosi e appassionati di musica barocca, in vita fu tra i più rinomati insegnanti di composizione del continente, nonché richiestissimo compositore di musica sacra. Docente presso il Conservatorio napoletano di Santa Maria di Loreto, ebbe tra i suoi allievi decine di quei maestri napoletani (di nascita o d’adozione) che costituivano la forza d’un magistero artistico senza pari: il sommo Pergolesi, Paisiello, Jommelli, tra i tanti.
La qualità della sua didattica è materia per gli storici, ma per fortuna sono conservate negli archivi anche diverse composizioni del Durante, che filologi ed esecutori, nel mondo, piano piano stanno riportando alla luce e in vita, sia nei concerti che in incisioni discografiche. L’ultima tra queste è costituita da un cd edito da Brilliant Classics, nel quale il direttore e organista Carlo Centemeri a capo dell’Astrarium Consort offre una scintillante lettura del Requiem in sol minore, di rarissimo ascolto. Si tratta di una partitura di una bellezza sconvolgente, intessuta com’è sia di magistero contrappuntistico all’antica (quello dei compositori rinascimentali quali Orlando di Lasso o Palestrina), che di una nuova, avanguardistica capacità espressiva, che soprattutto nel pathos acceso del canto solistico disegna orizzonti inediti alla tradizione musicale liturgica. Già l’Introitus colpisce in profondità, con l’intervallo discendente ribattuto, con dissonanze aspre, che conducono l’ascolto verso una dimensione di sbalzo tragico sorprendente. Ma è del resto l’intera composizione che, aderendo alle parole della Missa defunctorum, mette in testo un teatro della mente, in cui non è solo la contemplazione della morte in prospettiva elegiaca il fulcro espressivo, ma diresti invece la desolazione, il gesto disperato della comprensione impossibile, senza risposte e senza scampo. La maestria della scrittura strumentale, ancora, dimostra come in Durante non agisca solamente la consumata abilità nell’inventare melodie da affidare alla voce solista – elemento, questo, paradigmatico dell’intera Scuola napoletana – bensì la sapienza della combinazione figura/sfondo, in cui il tappeto sonoro esclusivamente strumentale funziona quale indicatore di presenza d’un trascendente animato, come se si trattasse d’uno sguardo tristissimo ma benevolo, e infine pacificatore, sulla vicenda misteriosa del trapasso degli uomini. Perché – come nota giustamente Galliano Ciliberti nel saggio di accompagnamento all’incisione – Durante mostra di aver ben chiaro lo scopo della sua arte, che è in fondo musica applicata: al rito, alla funzione pietosa, alla celebrazione del Sacro che cogliamo ineffabilmente proprio nel momento più solenne della nostra avventura terrena, nella morte appunto. Così, dopo la Sequentia del Dies irae, dopo l’Hostias dell’Offertorium, dopo un’indimenticabile intonazione dell’Agnus Dei (tutta interiore, implorante e languente), l’Exitus del Libera me Domine è una vera epifania dell’Essere, cristianamente intesa: dopo una serie di passaggi dolenti, ancora di gesto apertamente drammatico, la musica si muove con passo più rapido, non giubilante certo, eppure come pacificato nell’accettazione del destino ultimo di ogni cosa. Pregare con Durante può davvero essere un’esperienza infinitamente arricchente, non solo dal punto di vista del piacere estetico.
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