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«I Centri di ascolto sono il tatto che tocca la realtà dell’umanità»

Così il vescovo Domenico ai “Poeti sociali”

Parole chiave: Centri di ascolto (2), Uniti nel dono (6)
«I Centri di ascolto sono il tatto che tocca la realtà dell’umanità»

I delegati dei Centri di ascolto di Caritas Verona si sono incontrati per quello che è stato il 14° coordinamento in altrettanti anni di attività in tutta la diocesi scaligera. Tante le attività svolte dai centri e dagli empori, a partire dall’ascolto delle persone in difficoltà, fino all’aiuto concreto, soprattutto nell’ambito alimentare, senza dimenticare le officine culturali che combattono le povertà educative. E tanti i finanziamenti intorno a queste iniziative, tra cui fondi, progetti, campagne ad hoc e l’8x1000 della Chiesa cattolica, che permette di dare vita a proposte particolari che altrimenti non potrebbero essere realizzate.
Ad introdurre la giornata, inserita nella rassegna diocesana dei “Poeti sociali”, davanti a circa duecento delegati Caritas, il vescovo mons. Domenico Pompili, che ha così sintetizzato l’immenso lavoro di Caritas all’interno della Chiesa: «In un mondo come quello attuale, dove è spesso il buio a prevalere, Caritas è luce. In Caritas si possono trovare beni di prima necessità, ma è il luogo dove le persone possono trovare relazioni e socialità, dove si trova uno spazio di integrazione, di incubazione sociale. Se devo pensare ad uno dei cinque sensi del corpo umano, quello che più si avvicina a Caritas, è sicuramente il tatto. Caritas è il tatto della Chiesa: ci introduce ad una conoscenza della realtà assolutamente inedita. Perché si può vedere una persona, ma si può non guardare. Si può sentire, ma si può non ascoltare. Invece non si può toccare senza essere toccati a nostra volta. Si tratta di una sorta di forma radiale di conoscenza. La Chiesa, quindi, grazie alla Caritas e grazie a questo tatto, stabilisce un contatto con l’umanità».

«Devono ascoltare ma anche raccontarsi e raccontare»
I consigli del prof. Boniforti ai delegati Caritas

Circa duecento delegati dei centri di ascolto Caritas, quindici tavoli di lavoro, un confronto serrato sulle prospettive future in cui operare, a partire da una riflessione sul bello che stanno generando i centri di ascolto territoriali e sugli angoli di buio che vorrebbero illuminare. «Perché di bello ce n’è molto – spiega il mediatore dei tavoli di lavoro, Davide Boniforti, psicologo e mediatore di comunità, docente dell’Università Cattolica Sacro Cuore, nonché amministratore delegato di Metodi srl – e partire a raccontarsi da ciò che funziona serve per sottolineare il punto di luce che ciascuno ha. Le nostre Caritas hanno questa luce, mentre gli angoli di buio servono per avere qualcosa su cui lavorare».
– Quindi i centri di ascolto Caritas di Verona, dall’incontro del 14° coordinamento cosa si sono portati a casa come compito su cui lavorare?
«Innanzitutto, hanno capito di dover valorizzare maggiormente il loro lavoro. Anche attraverso la narrazione di due tipi: raccontare di più la propria Caritas, ma anche dar voce alle persone che incontrano, lasciar parlare i poveri, questo per superare i pregiudizi, che sono uno dei problemi principali riscontrati dai delegati territoriali».
– Altri concetti emersi dai tavoli di lavoro?
«Un tema chiave è la formazione, che è sempre utile. Però è emerso di più un tema di “formazione rivoluzionaria”. Ci si è posti una domanda: come può un centro di ascolto uscire dai pregiudizi, dalle difficoltà quotidiane, dalle fatiche che vive nella diversità dell’incontro? Certo, formarsi è utile, ma non basta. Serve creare reti con altri enti del territorio, trovando direzioni comuni. Serve raccontarsi, come dicevamo, per sentirsi meno soli, più comunità, e superare pregiudizi. Raccontarsi nel mondo Chiesa, ma anche fuori, organizzando più testimonianze e momenti aperti alla popolazione. Essere inseriti con un coordinamento Caritas all’interno del festival diocesano dei “Poeti Sociali”, ad esempio, ha un significato importante. Infine, serve lo scambio di talenti, anche tra gli utenti».
– Cosa intende?
«I centri di ascolto hanno sottolineato come sarebbe opportuno mettere al centro del lavoro gli utenti che vengono seguiti, ascoltarli significa conoscerli e magari, se hanno dei talenti, valorizzarli, per dare loro importanza, visibilità e farli sentire persone riconosciute».
– Le difficoltà non mancano…
«Ma non mancano nemmeno i punti di luce e questo ai delegati è ben chiaro. Passione, entusiasmo, senso di appartenenza, coinvolgimento: sono tutti elementi che trascinano in positivo. La relazione tra i membri di un centro di ascolto è un altro punto di forza».
– E le sfide per il futuro?
«Sicuramente essere presenti in contesti diversi da quelli della Chiesa. Poi è emerso molto il tema di dare risalto ai giovani e in questo senso è piaciuto il nuovo progetto di Caritas Verona e Pastorale giovanile legato ai giovani volontari che possono fare servizio. Infine, la sfida principale rimane quella del comunicare le buone prassi, di non aver paura di raccontarsi e raccontare»

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