Testimoniarono Cristo in terra d’islam
Thomas Georgeon - Christophe Henning
«La nostra morte non ci appartiene»
La storia dei 19 martiri d’Algeria
Emi - Verona 2018
pp. 208 - euro 16
Tredici uomini e sei donne: un algerino, una maltese, un belga, due spagnole e quattordici francesi. Uno di loro era vescovo, gli altri religiosi e suore di diversi istituti. Furono uccisi in Algeria da fanatici islamici tra l’8 maggio 1994 e il 1° agosto ’96. La loro morte violenta è stata riconosciuta come martirio e verranno beatificati il giorno dell’Immacolata Concezione di Maria, l’8 dicembre, dal cardinale Giovanni Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, inviato speciale di papa Francesco, che presiederà il rito di beatificazione nel santuario di Notre-Dame de Santa Cruz, ad Orano, in Algeria. Chiesa che proprio il capofila di questi martiri, il vescovo Pierre Claverie, domenicano, fece restaurare dopo decenni di abbandono con il contributo di altri pieds-noirs (termine che indica i francesi originari delle colonie africane, in primis l’Algeria) come lui.
Il volume «La nostra morte non ci appartiene» – titolo tratto da una frase di Christian de Chergé, priore del monastero di Tibhirine dove nel marzo ’96 vennero rapiti da un commando armato e poi decapitati sette monaci tra i quali lui stesso – racconta il dramma di quegli “anni di piombo” in Algeria. L’affermarsi, già dalla fine degli anni Ottanta, del Fronte islamico della salvezza successivamente rimpiazzato dal Gruppo islamico armato (Gia), duramente contrastati dall’esercito che effettuava arresti e deportazioni in campi di detenzione, portarono ad una vera e propria guerra civile che causò oltre 150mila vittime, senza risparmiare nessuno. Non c’è infatti famiglia algerina che non abbia dovuto piangere qualcuno dei propri cari. Tra questi anche un centinaio di imam che non sottoscrissero certe fatwa, giornalisti e intellettuali che rifiutavano il totalitarismo di stampo islamista e tanta, tanta gente comune.
Nel libro scritto dal monaco trappista Thomas Georgeon, postulatore della causa di beatificazione, e dal giornalista Christophe Henning, emerge a chiare lettere il volto di una Chiesa “molto piccola, molto diversa, fragile, nomade, spoglia, ecumenica – come testimonia suor Lourdes, missionaria agostiniana spagnola, l’unica ad essere rimasta per qualche tempo dopo l’assassinio delle consorelle Caridad Álvarez Martìn ed Esther Paniagua Alonso, avvenuto il 23 ottobre ’94 mentre si stavano recando a Messa –. Ma è sempre stata anche una Chiesa che vive l’universalità, l’interculturalità, che intende vivere la comunione tra tutti, che vuole vivere la fraternità universale, che intende essere solidale e che cammina insieme ai nostri fratelli musulmani algerini alla ricerca di Dio, della verità”. Una comunità che anche in quegli anni bui continuò a organizzare corsi di formazione, esercizi spirituali, a tenere aperte le biblioteche per gli studenti. Anche se ogni mattina la domanda era: «Arriveremo vivi a sera?».
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