Il lievito madre tenuto vivo dagli operai
Silvino Gonzato
Lievito madre. Storia della fabbrica salvata dagli operai
Neri Pozza - Vicenza 2019
pp. 128 - Euro 12
“Se il pandoro sfida il panettone è merito di Domenico Melegatti che nel 1894 l’inventò a Verona. La bottega a due passi da Porta Borsari custodiva un rebus: due gatti e tre mele di marmo che sarebbero diventati il marchio famoso. E un tesoro: il lievito madre, cuore della ricetta segreta, poi della fabbrica che avrebbe sfornato il dolce ottagonale per spedirlo nel mondo. La produzione attingeva ancora a quel cuore quando nel 2017 le discordie tra i titolari sfociarono nella crisi che fermò lo stabilimento di San Giovanni Lupatoto. Nell’attesa che una nuova proprietà salvasse l’azienda bisognava a ogni costo tenere in vita il lievito madre. L’hanno fatto per mesi Carlo, Michele e Davide, sostenuti da colleghe, colleghi e dall’intero paese. La fabbrica salvata dagli operai è una bella storia italiana. E bello è il segnale che dalla cronaca rimbalzi in un libro”.
Questa la motivazione con la quale, il 16 novembre 2019, è stato conferito il premio speciale della giuria per la diciottesima edizione del “Premio Biella Letteratura e Industria” a Silvino Gonzato il quale, con Lievito madre. Storia della fabbrica salvata dagli operai, ha narrato la commovente tenacia dei lavoratori della Melegatti nel mantenere in vita quel “prodigioso impasto” che da oltre 120 anni sforna uno dei dolci natalizi più noti e apprezzati al mondo.
Penna storica del quotidiano L’Arena, Gonzato ha voluto ricordare la battaglia compiuta dai tre lavoratori della Melegatti che, ignorando le domeniche, le feste e il freddo, si sono recati quotidianamente nella fabbrica chiusa per tenere in vita il lievito madre, un grumo di pasta bianca di circa due chili, avvolto nel cellophane dentro un secchio, senza il quale non si può produrre neppure un pandoro. La pasta è composta da batteri che se ne nutrono e, perché non muoia, viene alimentata ogni due giorni con acqua e farina fino ad aumentarne il peso di un chilo. Dopo la pesatura torna nel secchio.
Questo rito si celebra identico da quando lo iniziò il fondatore Domenico Melegatti – che il 14 ottobre 1894 ricevette il Certificato di Privativa industriale dal Ministero di Agricoltura, industria e commercio del Regno d’Italia per aver inventato il nome, la forma e la ricetta del pandoro – e nei dodici mesi di presidio i tre lavoratori lo hanno compiuto a turno, dentro la fabbrica tristemente ferma e silenziosa, con una tenacia che ha fatto notizia in tutto il mondo, contribuendo alla salvezza di un’azienda dove, a partire dal 2008, infuriava una guerra definita da Gonzato la Dinasty italiana. La lite diviene “un marchio di famiglia, come il pandoro”. Controversie e veleni incrociati spingono la Melegatti sull’orlo del baratro. Il 29 maggio 2018 il tribunale di Verona ne dichiara il fallimento. Poi, il successivo 28 settembre, l’azienda viene aggiudicata alla seconda asta per 13,5 milioni di euro dalla Sominor srl di Roberto Spezzapria.
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