Tutti assieme ai docenti per gli alunni “speciali”
C’è bisogno di collegialità per le scelte e per la loro attuazione
Nei giorni scorsi si è tenuto, al Centro Mons. Carraro, un convegno dal titolo “Progetto di vita: buone pratiche per un’inclusione possibile”, organizzato dalla rete Lifelab. Finalmente, in convegni e nella discussione culturale sulla scuola, si è ritornati a parlare di pedagogia: è importante questo aspetto perché è una scienza che studia la formazione e l’educazione dell’essere umano durante tutta la sua vita.
Prioritariamente però si occupa di bambini, adolescenti e persone con disabilità o bisogni educativi speciali (Bes). La pedagogia speciale possiamo affermare che è una branca della pedagogia che si rivolge ai soggetti portatori di disabilità, anche se in realtà questa descrizione è riduttiva, perché la pedagogia speciale non si rivolge solo ai soggetti portatori di disabilità: si rivolge in generale a tutti i soggetti portatori di Bisogni educativi speciali.
Cosa sono? Sicuramente al loro interno rientra anche la disabilità, però sono una categoria più ampia di bisogni che, secondo l’Icf (sigla che indica la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) sono definibili come una “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito educativo di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che necessita di un’educazione speciale e individualizzata”.
La pedagogia speciale è la pedagogia del “possibile”, perché vi è un riconoscimento delle potenzialità e dell’educabilità della persona nella sua globalità, un riconoscimento del suo potenziale individuale di apprendimento, il riconoscimento dell’eterogeneità e diversità delle condizioni esistenziali e dei bisogni educativi.
Il concetto di base è un cambiamento del paradigma relativo al concetto di salute: un malato non corrisponde alla sua malattia, così una persona con disabilità non corrisponde alla menomazione o al suo deficit. La salute è un processo di adattamento attivo e consapevole, non è pura assenza della malattia; è la ricerca del bene, alla scoperta di tutte le risorse che una persona ha e di quelle dell’ambiente naturale e delle relazioni umane che lo circondano.
La ricerca del benessere passa attraverso il soddisfacimento dei bisogni fondamentali e primari, per condurre verso la ricerca di una vita piena, intensa e consapevole in un processo continuo (prospettiva bio-psico-sociale). La disabilità è “la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute (malattie, disturbi, ecc.) di un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive il soggetto (Oms, Icf, 2001)”.
Quindi il paradigma bio psico-sociale porta anche alla reinterpretazione del significato di disabilità, che va interpretata come adattamento nell’interazione individuo-ambiente. Ma chiediamoci: questi aspetti valgono solo per gli studenti/esse disabili?
Date tali premesse, in un istituto scolastico il dirigente dovrebbe assumere un ruolo di coordinamento pedagogico essenziale e irrinunciabile. Sappiamo, purtroppo, che viene oberato di incombenze e molestie burocratico-contabili-amministrative che gli tolgono energie, motivazione e tempo.
Dovrebbe invece stimolare e orientare il Collegio docenti a porsi alcune domande fondamentali, per esempio: quali valori promuovere per una società del futuro pienamente “umana”? Quale ragazzo-ragazza vogliamo formare? Quali talenti/competenze/ideali/principi etici? Come facciamo a rilevare i bisogni formativi degli studenti/esse piccoli e grandi? Quale valutazione mettiamo in campo per rilevare gli apprendimenti acquisiti e da acquisire? Quale significato ha per noi? Quali strumenti metodologici, tecnologici, strategici conosciamo? Quali opportunità vogliamo creare per i più fragili, i Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento), i Bes, per i ragazzi/e in difficoltà?
E per coloro che sono in situazione di disabilità? Come vogliamo costruire l’ambiente, i contesti di apprendimento? Lo sfondo integratore? Come affrontiamo l’eterogeneità di un gruppo classe dovuto a differenze socio-culturali, di abilità, di apprendimento, cognitive?
Sono risposte che si possono dare solo attraverso la “collegialità”: il confronto nei vari organi collegiali per creare una visione comune e condivisa del progetto educativo di una scuola. Occorre assumere una “corresponsabilità educativa” e rispondere degli esiti delle proprie azioni.
Il concetto di corresponsabilità educativa fa riferimento soprattutto all’assunzione di responsabilità congiunta di tutti gli insegnanti nella gestione del progetto educativo e tende a contrastare la diffusa pratica della delega ai soli docenti di sostegno o educatori di fronte ad una alunno/a disabile. Occorre promuovere la “partecipazione” di tutti i docenti con adeguata suddivisione dei compiti, anche nella stesura del piano educativo-didattico della classe e nella stesura del Pei (piano educativo individualizzato dell’alunno/a disabile).
Un docente è protagonista e primo pedagogo, perché è lui che interagisce con gli studenti/esse, che cura prima di tutto la relazione e il loro benessere. Deve, pertanto, essere sempre lui stesso in apprendimento perché i minori cambiano con il cambiare della società e delle pratiche sociali e tecnologiche.
Deve essere disponibile all’innovazione e alla ricerca continue. Le nostre classi sono organismi complessi, eterogenee e spesso accolgono Bes, Dsa, alunni stranieri e alunni/e con disabilità. Per gestirle adeguatamente è necessario che si attivi una didattica inclusiva.
Il centro studi Erikson propone sette azioni chiave per promuovere l’inclusione a scuola, io ne aggiungo una ottava: i compagni sono una risorsa; occorre valorizzare i diversi stili cognitivi e le diverse forme di intelligenza; la valutazione è finalizzata a migliorare il processo meta-cognitivo dell’alunno per fornirgli feedback che lo aiutino a superare gli errori; è importante utilizzare varie risorse, materiali, spazi; è essenziale promuovere la meta-cognizione e riflessione sul proprio modo di apprendere (io aggiungo e di insegnare); è funzionale utilizzare strategie ludico-visive, mappe, schemi e aiuti visivi; è ormai indispensabile un’ educazione delle emozioni e lo sviluppo di una buona autostima; è diventato ormai importante l’utilizzo della tecnologia come amplificatore e mediatore nel processo di insegnamento-apprendimento.
Un altro aspetto importante per promuovere l’inclusione è l’utilizzo di varie metodologie e strategie di insegnamento: ormai è assodato che non si può utilizzare la lezione frontale per più ore di seguito. Anche noi adulti non riusciamo a prestare attenzione prolungata in queste situazioni, non possiamo pretenderlo dagli studenti/esse.
In questo contesto flessibile il ruolo del docente di sostegno è quello di essere un facilitatore, mettendo in atto tutte quelle strategie che promuovano lo sviluppo integrale dell’alunno, e la condivisione tra scuola, famiglia, insegnanti, compagni di un agire comune in vista dello stesso.
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