La scuola siamo noi
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L’inclusione scolastica è un impegno di tutti per valorizzare i talenti di ciascuno

Alla maggior parte delle persone il termine “inclusione” fa venire in mente la scuola che opera, in ogni ordine e grado, per inserire efficacemente gli alunni diversamente abili. Ed è così. La percezione è sicuramente corretta, ma – a giudizio di chi scrive – non è solo questo. Merita un completamento e una estensione.

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L’inclusione scolastica è un impegno di tutti per valorizzare i talenti di ciascuno

Alla maggior parte delle persone il termine “inclusione” fa venire in mente la scuola che opera, in ogni ordine e grado, per inserire efficacemente gli alunni diversamente abili. Ed è così. La percezione è sicuramente corretta, ma – a giudizio di chi scrive – non è solo questo. Merita un completamento e una estensione.
Prima del 1977 i ragazzi con handicap (così si diceva allora) erano raccolti in classi o scuole “speciali”. Prima in Europa, la scuola italiana ha realizzato l’integrazione di tutti nelle classi e nelle scuole. Si superava la “segregazione” di chi viveva condizioni personali critiche. Ulteriori sviluppi dell’integrazione sono stati favoriti dalla legge 104 del 1992 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). Si consolida l’idea che l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento, né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap.
Ulteriori sviluppi si hanno nel 2010 con la legge 170, che detta i principi generali che devono guidare l’intervento in ambito scolastico (e sanitario) per garantire la realizzazione delle potenzialità delle persone che sono affette dai disturbi specifici dell’apprendimento. E ancora, nel 2012 con la Direttiva ministeriale del 27 dicembre che prevede strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali (Bes). In crescendo si afferma, nella cultura pedagogica e nella pratica scolastica, l’integrazione della persona con disabilità, con disturbi di apprendimento e bisogni educativi speciali. Per queste persone e attorno a loro operano docenti, insegnanti di sostegno, psicopedagogisti, assistenti personali…; si utilizzano strumenti diversi come certificazioni, analisi funzionali, programmazioni e materiali didattici specifici. Il ragazzo e la ragazza in difficoltà sono integrati nella classe e nella comunità scolastica, sono fisicamente nella classe, ma... sono veramente inclusi? Forse ci sono margini di miglioramento. Forse il loro inserimento è pensato e agito ponendoli, perlopiù, in situazione di “ricevere” aiuti. Può esserci il rischio di sottovalutare o di non riconoscere la portata della loro originalità per la crescita di loro stessi, della comunità scolastica e della classe in cui sono inseriti.
Il passaggio dall’integrazione all’inclusione potrebbe essere proprio qui. Dal diverso modo di considerare la persona.
Tutte le persone sono portatrici di valori o talenti originali, senza distinzione tra disabili e normodotati. C’è migliore inclusione quando tutti sono messi nelle condizioni di sviluppare i loro talenti e di contribuire – ognuno con la propria specificità – alla crescita personale e della comunità di cui sono parte.
La parabola dei talenti (Mt 25,14-30) può essere una immagine esplicativa del valore di ogni persona; tale valore non dipende dal numero dei talenti ricevuti dal padrone (cinque, due e uno) ma dalla capacità di farli fruttificare. Il premio è uguale per chi ha guadagnato altri cinque o altri due talenti: “Bene servo buono e fedele... sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Solo chi non ha messo a frutto il talento è messo fuori.
La vera integrazione pone al centro i valori (talenti, cinque, due, uno...) originalissimi di ogni studente a prescindere dal fatto che lo stesso sia o non sia diversamente abile, che abbia o no disturbi specifici di apprendimento, che abbia o no bisogni educativi speciali, che sia o no immigrato. La grande sfida della scuola (dei docenti, del personale scolastico, degli studenti stessi, dei genitori, degli operatori psico-socio-sanitari) è quella di aiutare ogni ragazzo a scoprire i talenti e offrire strumenti e aiuti per metterli a frutto, a vantaggio di sé stessi e della comunità. Se questa sarà “l’anima” dell’offerta formativa della comunità scolastica (piani educativi individualizzati, piani didattici personalizzati, con le misure compensative e dispensative...) si procederà verso l’inclusione, con grande beneficio della società intera.
Già la scuola cammina in questa direzione; potrà progredire ulteriormente in quanto è o tende a essere “una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni” (dall’art. 1 Dpr 24.06.1998 n. 249, noto come “Statuto delle studentesse e degli studenti”). Essere comunità (non solo per la scuola) è una condizione sfidante e arricchente al tempo stesso. La parola “comunità” deriva dal latino cum-munus. Si tratta di mettere in comune il “munus” che porta in sé due significati solo apparentemente antitetici, in realtà complementari: munus come dovere, e munus come dono.  
Tutte le componenti della comunità scolastica (studenti, docenti, collaboratori scolastici, amministrativi e tecnici, genitori) mettono in comune, secondo il loro specifico ruolo, dovere (come da contratto e regolamenti) e dono (che deriva dal talento gratuitamente ricevuto e condiviso). Nella comunità ogni persona – in misura diversa – non si limita al proprio dovere, mette in comune anche il dono. Il dovere è necessario, ma non sufficiente. La scuola in quanto comunità è sempre più inclusiva.
* già preside

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