Il Fatto di Bruno Fasani
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Rispettare le culture giustificando comportamenti inaccettabili?

Tutto accade a Brescia, presso il locale tribunale, dove una giovane signora, originaria del Bangladesh, ha portato davanti al giudice il marito, accusandolo di averla ridotta in schiavitù e di averle usato violenza...

Parole chiave: Bangladesh (1), Il Fatto (438), Bruno Fasani (347), Giustizia (15), Donne (27)

Tutto accade a Brescia, presso il locale tribunale, dove una giovane signora, originaria del Bangladesh, ha portato davanti al giudice il marito, accusandolo di averla ridotta in schiavitù e di averle usato violenza. Il pubblico ministero, che ha il compito di vigilare sulla corretta applicazione della legge, dopo aver ascoltato i pro e i contro, si pronuncia per l’assoluzione del colpevole con la seguente motivazione: «L’intolleranza alla convivenza è maturata nell’ambito di una differenza culturale già esistente, ma per lungo tempo tenuta sopita dalla signora, la quale aveva creduto di poter accettare l’impianto culturale della famiglia d’origine, per poi realizzare di non volersi conformare ai dettami socio-culturali e religiosi, provenienti dalla comunità bengalese e di volere altro per la sua vita».
Tradotto: finché la signora viveva in Bangladesh non era certo contenta del ménage familiare, ma doveva rassegnarsi, perché da quelle parti le cose funzionano in un certo modo e per le donne è così, volenti o nolenti. Una volta arrivata in Italia, ha capito che qui la musica è diversa e si è decisa a denunciare. Solo che... Solo che il marito, con la testa, ha continuato ad essere in Bangladesh. E allora perché punirlo se gli viene da ragionare e comportarsi come gli hanno sempre insegnato e ha visto fare, ha pensato il giudice?
Contro la richiesta del Pm hanno preso le distanze sia la Procura bresciana, sia il ministro della Giustizia, che ha disposto un’ispezione. Via da me l’intenzione di mettere in croce il magistrato, certamente in buona fede. Saranno altri giudici a decidere, anche se questo episodio non può essere lasciato cadere.
I sociologi e quanti si interessano di immigrazione, oggi sono sostanzialmente divisi in due filoni. Da una parte quelli che sostengono l’integrazione dei nuovi arrivati come fatto irrinunciabile. Per integrazione si intende che, pur rispettando la loro originalità, gli stranieri che arrivano in Italia devono imparare la nostra lingua, frequentare le nostre scuole se in età scolare, riconoscere e fare propri i principi della Costituzione italiana e accettare le regole della convivenza, rispettandone le leggi. A fronte di questa lettura, c’è un’altra corrente, favorevole invece al multiculturalismo, ossia al fatto che chi viene qui da noi dovrebbe avere il diritto a mantenere e ad ispirarsi alle proprie tradizioni culturali e sociali. Posizione buonista, ma assolutamente rischiosa. Ne sanno qualcosa in Inghilterra, dove sono sorti più di trenta tribunali, detti della Sharia, dove, in barba alle leggi britanniche, i processi vengono fatti nelle moschee, ispirandosi alle leggi del Corano, con buona pace delle donne e dei loro diritti negati.
Il pericolo è quello, e Brescia ne è un significativo segnale, di mettere in piedi una specie di logica giuridica tribale. Tante tribù dove la legge diventa elastica in base alla cultura di provenienza. Ragionando per paradosso, ma non troppo, perché allora dovremmo condannare la tradizione delle spose bambine, se in giro si fa così? O la poligamia? E perché dare l’ergastolo al padre e ai parenti di Saman, la ragazza ammazzata perché non voleva andare sposa al maturo parente? E cosa vederci di male se si continuano a infibulare le bambine perché dalle loro parti è un fatto di costume?
Giurisdizioni differenziate, in nome della cultura, non sono una forma di rispetto dello straniero, ma esattamente un modo per perpetuare violenze e schiavitù non più accettabili.

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