Nazionalismo indù in un’India sempre più intollerante
“America first”. “Prima gli italiani”. “Avanti gli indù”. Paese che vai, nazionalismo che trovi. In un’epoca in cui la finanza risponde a leggi proprie e i governi faticano a controllare l’economia, i leader politici sfruttano sempre più spesso identità etniche, religiose o culturali per ottenere legittimazione e potere. Il fenomeno è globale e non riguarda solo Europa o America, ma anche Medio Oriente e Asia.
“America first”. “Prima gli italiani”. “Avanti gli indù”. Paese che vai, nazionalismo che trovi. In un’epoca in cui la finanza risponde a leggi proprie e i governi faticano a controllare l’economia, i leader politici sfruttano sempre più spesso identità etniche, religiose o culturali per ottenere legittimazione e potere. Il fenomeno è globale e non riguarda solo Europa o America, ma anche Medio Oriente e Asia.
Negli ultimi anni l’India ha promosso una versione aggressiva di nazionalismo indù. Ingiustizia, discriminazione e violenza non sono certo una novità per il Paese, ma oggi vengono normalizzate, legittimate e incoraggiate dal governo. Da giovane il primo ministro Narendra Modi – in carica dal 2014 ed esponente del Bharatiya Janata Party (Bjp) – ha militato nel movimento paramilitare di estrema destra indù Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss). Oggi non fa mistero di voler fondare una “nazione induista”, in grado di dominare le altre minoranze che abitano il Paese.
A essere presi di mira sono soprattutto i musulmani, oltre 200 milioni di persone che rappresentano il 14,4% della popolazione. Ad agosto il governo ha privato lo Stato di Jammu e Kashmir, l’unico territorio a maggioranza musulmana, dello statuto speciale che gli aveva garantito una notevole autonomia. L’area è stata divisa in due “territori dell’Unione” sui quali ora Nuova Delhi esercita maggiore controllo.
Prima di annunciare le modifiche istituzionali, il premier Modi ha inviato nello Stato ai confini con il Pakistan migliaia di soldati e ha messo agli arresti domiciliari i politici locali. Ha imposto il coprifuoco e ridotto la libertà di movimento e di espressione. Oggi la maggior parte degli abitanti del Kashmir è ancora senza internet. Le poche notizie circolate parlano di persone gravemente ferite a causa dei metodi usati dalle forze dell’ordine e di altre migliaia, bambini compresi, rinchiuse in carcere.
La discriminazione è all’ordine del giorno anche nello Stato nord-orientale dell’Assam. Qui le autorità hanno diffuso il Registro nazionale dei cittadini (Nrc) del territorio. Dal documento sono rimaste escluse quasi due milioni di persone, incapaci di dimostrare che il loro nome era presente nei registi elettorali prima del 24 marzo 1971: una data scelta arbitrariamente con l’obiettivo d’identificare gli immigrati musulmani entrati nel Paese dopo la dichiarazione d’indipendenza del Bangladesh.
Molti di questi cittadini, ormai apolidi, sono finiti in campi di detenzione, dove vivono in condizioni atroci. Tra le vittime dell’Nrc (che potrebbe essere applicato su scala nazionale) ci sono anche indù. Per questo motivo, a dicembre, il governo ha approvato un emendamento che permette ai rifugiati indù, buddisti o cristiani di Afghanistan, Bangladesh e Pakistan di diventare cittadini indiani, escludendo però i musulmani.
La “nuova India” voluta dal premier Modi è sempre più lontana dal Paese democratico, liberale e inclusivo fondato dal Mahatma Gandhi. Le politiche del primo ministro minacciano la stabilità dell’intera regione: le repressioni contro le minoranze potrebbero avere gravi ripercussioni internazionali e riaccendere la miccia del conflitto con vicini ingombranti a maggioranza musulmana, come Pakistan e Bangladesh. E, ricordiamolo, il Pakistan (come l’India) ha la bomba atomica...
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