Quando la presunta democrazia indossa i panni della dittatura ideologica, nascondendo scopi politici
C’è un dubbio che mi frulla in testa e si fa sempre più incalzante. È un po’ malizioso, lo ammetto, anche se la malizia qualche volta è la logica conclusione che si ricava dai fatti, più che la malafede di chi vuol vedere quello che non c’è...
C’è un dubbio che mi frulla in testa e si fa sempre più incalzante. È un po’ malizioso, lo ammetto, anche se la malizia qualche volta è la logica conclusione che si ricava dai fatti, più che la malafede di chi vuol vedere quello che non c’è. Il dubbio è questo: il disegno di legge Zan contro l’“omofobia, lesbofobia, bifobia, transfobia” è a tutela di categorie fragili o piuttosto tutela dei partiti dal pericolo dello sgretolamento cui stanno andando incontro? Proverò a dirvi perché, ma prima lasciatemi confessare i dubbi di un maldestro interprete della legge.
Chi sono i bifobici? Quelli che ce l’hanno con i gay e le lesbiche, ma vedono di buon occhio i transessuali? Oppure con lesbiche e transessuali, ma simpatizzano coi gay? Oppure con gay e transessuali, affascinati però dalle lesbiche? Mica giusto! E allora perché non parlare di trisfobia? In attesa che qualche Calaf risolva l’enigma come nella Turandot, appare sempre più evidente che il ddl Zan ha obiettivi politici, prima ancora che la tutela del gender delle persone.
Mi hanno colpito i Pride arcobaleno che si sono tenuti in tutta Italia sabato scorso (a proposito, la tanto sbandierata legge Mancino avrebbe nulla da dire sul rispetto dei cattolici, demonizzati per qualche distinguo del loro modo di pensare? “Cloro al clero”, come campeggiava in tanti cartelloni, è da considerare goliardia universitaria o istigazione all’odio e all’intolleranza? Mi faccia sapere, onorevole Zan). Mi colpisce poi l’onda compatta di attori, cantanti, influencer vari (che è la traduzione eufemistica del pecoronismo contemporaneo, forte di un fideismo spropositato, anche se spesso la fede è confusa semplicemente col Fedez di turno).
Tutti a portare acqua in una direzione, in quella direzione. Che poi è un modo per dire che il bene sta da una parte sola, quella degli illuminati, che hanno fatto dell’etica uno spezzatino, di Destra, di Centro, di Sinistra. L’importante è lasciare intendere che la verità è di un solo padrone. Che poi se questa parte, spaccata e in minoranza nei sondaggi, teme il crollo elettorale, meglio riunirla sotto la bandiera dell’antifobia.
C’era grande euforia nel caleidoscopio della Sinistra, convinta che la nuova legge sarebbe diventata la bandiera della sua presunta preminente civiltà. A rompere l’incantesimo ci hanno pensato Renzi e le sue truppe. No al riconoscimento del gender, hanno sentenziato. E no all’obbligo di celebrare nelle scuole la giornata antifobia il 17 maggio. Tanto è bastato perché piovesse su di loro un tornado di critiche. “Si servono della legge per scopi elettorali. Stanno facendo le prove di alleanza con la Destra per l’elezione del presidente della Repubblica e le prossime politiche nel ’23”. E gli altri perché fanno quello che fanno? Nasce da qui la mia malizia, cari lettori. Ed è una malizia piena di amarezza, nel vedere come i destini umani passano ormai dalle logiche senza respiro degli interessi partitici.
Vi riporto l’articolo 1 del ddl Zan: “a. Per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico (sic!). b. Per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative connesse col sesso. c. Per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso o di entrambi i sessi. d. Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.
Questa è l’antropologia che uno Stato vorrebbe accreditare per legge. Qualche volta mi chiedo se chi siede in Parlamento abbia coscienza di ciò che propone. Dire chi è l’essere umano, in un certo modo senza ascoltare la complessità della realtà umana e le sue interpretazioni culturali, filosofiche, biologiche e religiose, non è servizio ai più deboli, ma dittatura ideologica dai possibili rischi senza ritorno. In nome della democrazia ovviamente. Quella delle chiacchiere.
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