Lasciarci scolpire dal Risorto per svelare l’eterno in noi
“‘Scolpisci la tua statua’ raccomandava Plotino. Togli, raschia, leviga, ripulisci:/ ecco che apparirà dal marmo informe/ il tuo volto migliore,/ lo splendore del divino che hai nascosto./ Libera quello che dorme nel qualcosa/ di ogni giorno, povera cosa/ incolore relativa immediata./ Fai posto all’assoluto/ alla tua statua eterna luminosa:/ intorno ti sarà grata l’aria e il mondo muto”.
“‘Scolpisci la tua statua’ raccomandava Plotino. Togli, raschia, leviga, ripulisci:/ ecco che apparirà dal marmo informe/ il tuo volto migliore,/ lo splendore del divino che hai nascosto./ Libera quello che dorme nel qualcosa/ di ogni giorno, povera cosa/ incolore relativa immediata./ Fai posto all’assoluto/ alla tua statua eterna luminosa:/ intorno ti sarà grata l’aria e il mondo muto”.
Sono versi di Alida Airaghi, donna schiva, al limite della ritrosia, di altissimo profilo culturale e letterario. Recentemente ha pubblicato uno stupendo racconto, Il Velo, che forse ci potrebbe aiutare ad uscire dalle gabbie di tante abitudini spirituali, che finiscono per diventare la dogana invalicabile tra le ali libere del Vangelo e una religiosità refrattaria a guardarsi dentro per cominciare a respirare aria nuova.
Ho scelto questi versi, prima di tutto, come augurio pasquale. Ci vuole audacia per lasciarsi scolpire dal Risorto. Tante volte è più facile confinarlo nei racconti, che non costano niente, o mimetizzarlo nelle pieghe del dubbio. In fondo, il buon Tommaso, prima di far capolino tra le pagine evangeliche, è l’ospite oscuro della nostra coscienza. Sarà poi vero? Ma, a fronte della ruggine che ogni giorno il mondo deposita sulle nostre stanchezze, fare posto all’Assoluto, questa volta maiuscolo, è l’unica uscita di sicurezza su cui campeggi un po’ di luce. Come può lasciarci soli, a brancolare nelle notti di Caino, Colui che ha preso l’ultimo posto in croce perché nessuna creatura si sentisse esclusa dall’amore?
Ho scelto questi versi di Alida Airaghi perché vi ho trovato consonanza con un pensiero che ha accompagnato i miei tentativi di educare alla fede. Ai ragazzi che cercavo di aiutare a pregare, ho spesso ripetuto che si andava in chiesa per incontrare… Michelangelo. Un giorno, il più sveglio della compagnia mi buttò lì, ironico: chi è? Il sacrista? Non esattamente, ma spiegando loro la Pietà Rondanini o tutte quelle sculture, apparentemente incompiute, che facevano uscire le creature dalla materia informe, non era difficile portarli a intuire che la vita dei credenti cresce sotto i colpi dello scalpello. Quello della realtà quotidiana che toglie, raschia, leviga e pulisce. E che spesso fa male. Ma anche l’unico scalpello capace di risvegliare ciò che dorme dentro le nostre durezze, per far apparire qualcosa di nuovo.
C’è bisogno di eterno dentro il nostro tempo, del quale sembra essersi impadronita la tecnica, con il suo impassibile e freddo pragmatismo. Ce lo ricordava, nei giorni scorsi, anche un migliaio e oltre di operatori della Silicon Valley, capitanati da Elon Musk, fondatore di Tesla e proprietario di Twitter. A fronte di una corsa alla ricerca dell’intelligenza artificiale, hanno chiesto di fermarsi e riflettere sui progressi di questa tecnologia «che potrebbe rappresentare un cambiamento profondo nella storia della vita sulla Terra, con gravi rischi per la società e l’umanità». Quasi un grido, il loro, per dire che se non riusciranno da soli a darsi delle norme etiche, dovranno essere i governi ad intervenire prima che sia troppo tardi.
È il mondo della scienza che ci domanda di non far tacere il cuore, di non mettere il bavaglio alla coscienza. O più semplicemente a far risplendere l’eterna statua luminosa che ci portiamo dentro, perché ne sia grata l’aria intorno e il mondo muto. Buona Pasqua.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento