Il Fatto di Bruno Fasani
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Giusto un po' di barba per crederci ancora

Finito il tempo dell’uomo con la pelle di pesca, forse è da un pelo di barba che ricomincia da parte del maschio la ricerca della propria identità

Parole chiave: Barba (5), Fasani (8), Il fatto (439)

Sarebbe interessante chiedersi cosa si nasconde dietro una barba. Oltretutto la domanda sembra oggi moltiplicarsi in un crescendo esponenziale di barbe che incontriamo ad ogni angolo della strada. Già, perché la barba è tornata di moda. Curata, esibita, ammiccante. Soprattutto sdoganata dagli stereotipi mostrati dai feroci seguaci dei califfi, in cui la pidocchiosa incuria del volto è pari a quella dell’animo che li ispira. No, la barba come segno di civiltà, di cura di sé. Soprattutto un ritorno al fascino del pelo sul volto maschile, intramontabile sirena del sex appeal per il mondo femminile. Dopo anni in cui il mito del gender indistinto proponeva il tutto identico e il tutto equivalente, la diversità torna a farsi largo, in una dialettica che pesca nei dettami della natura la sostanziale diversità dell’uomo dalla donna. Anzi, una rivincita della natura, che torna a mettere i suoi paletti dentro una cultura che vorrebbe decidere i destini dell’uomo a tavolino, prescindendo dalle leggi del Dna. Evviva la barba dunque, se essa, oltre il fatto estetico, è capace di segnare una inversione di rotta. Certo, non occorre enfatizzare, e tutto va preso con leggerezza, anche perché a creare il mito della barba si potrebbe finire anche nel ridicolo. Diceva un saggio e vecchio cardinale: “a vent’anni se non ti fai la barba è segno di fascino, a quaranta, se non la curi, dai l’idea di trascuratezza. A sessanta e oltre, una barba trascurata rischia d’essere il patetico manifesto di una vecchiaia incalzante”. Ogni frutto alla sua stagione, quindi, se non fosse poi che ogni barba ha comunque un suo linguaggio da veicolare. La barba folta e avvolgente dà l’idea di saggezza e maturità. Valga per Gesù quello che vale per Mosé, eternamente immortalati nella cornice di barbe avvolgenti. Vi è poi il pizzo, nei suoi toni perentori e un po’ legati al passato. Una sorta di punto esclamativo per indicare che la dialettica del confronto non concede replica. Se al baffo si attribuisce il valore di uno strumento di contatto, col suo potere seduttivo, oggi si risponde con barbe corte, apparentemente incolte. Magari giustificate nel nome di frette sbrigative, che non consentono sedute dal barbiere o quelle altrettanto tediose di uno schiumaggio davanti allo specchio. No no, barbe corte, da esploratore, a incarnare il nuovo Ulisse, immerso nell’attivismo dei tempi che corrono, che punta all’essenziale, ma senza trascurare le ragioni del cuore, che ha bisogno anche di questi segni per comunicare. Detto così, tra il serio e il faceto, anche l’argomento barba finisce per trovare la sua collocazione, che consente di sorridere, senza però banalizzare. E segna comunque un messaggio da interpretare. Finito il tempo dell’uomo con la pelle di pesca, forse è da un pelo di barba che ricomincia da parte del maschio la ricerca della propria identità.

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