Dai 30 km/h a Fleximan evitando però le letture ideologiche
Se c’è una cosa che mi inquieta, quella è la passione con cui, sulla proposta di portare nelle città il limite dei 30 all’ora, stanno nascendo i guelfi e i ghibellini...
Se c’è una cosa che mi inquieta, quella è la passione con cui, sulla proposta di portare nelle città il limite dei 30 all’ora, stanno nascendo i guelfi e i ghibellini. Ho parlato di passione, ma il pericolo è che la proposta, da passione, si trasformi in scelta ideologica. Di qua la sinistra, con la filosofia del bradipo; di là la destra, con quella della lepre. Buttare la cosa in politica sarebbe lo stesso che buttarla in vacca che, detto per le anime più sensibili, non è espressione zoologica. La “vacca” altro non è che un gonfiore prodotto dal baco da seta malato, il quale smette di produrre il bozzolo, facendo fallire lo scopo per cui è allevato.
In attesa di sapere come andrà a finire, sarà opportuno ricordare che la cosa è più complicata di quanto possa risultare da certe semplificazioni. Una città è realtà complessa. Ci sono zone con alta presenza umana, che potrebbero essere pedonalizzate, e altre di scorrimento che andrebbero considerate per chi si reca al lavoro, evitando intasamenti e onerose perdite di tempo.
Si dice che il provvedimento salverà vite umane. Lodevole. Ma le forze di polizia sono presenti sul territorio cittadino per vedere quanti incidenti sono causati da chi telefona o manda messaggi mentre guida, a prescindere dalla velocità? O per vedere quanti in monopattino o in bicicletta sfrecciano di qua e di là, andando anche contromano, come se a loro fosse consentita ogni deroga al Codice della strada? E che dire dei pedoni, che occupano le strade riservate alla viabilità, come mandrie in libera uscita, padrone della strada? Provocazioni, giusto per dire che la situazione è complessa e andrebbe pensata fuori dai dogmatismi politici delle soluzioni in tasca.
Discorso diverso per i rottamatori degli autovelox. Qualcuno sostiene che Fleximan sia una sorta di Robin Hood degli automobilisti. Distruggere gli autovelox, segandone i pali di supporto e distruggendo le costose apparecchiature tecnologiche, sembra stia diventando una moda, capace di fare molti proseliti. Ad essere presi di mira non sono solo gli apparecchi misuratori della velocità, ma adesso anche i dossi di rallentamento, sbullonati dall’asfalto e buttati via, insieme a semafori e tanta segnaletica stradale in generale. Se fino a qualche tempo fa si pensava che il “vendicatore” fosse una singola persona, stanca di pagare multe, ora si è capito che i colpevoli stanno crescendo in maniera esponenziale. La gente commenta con cautela, ma lontano dai taccuini dei giornalisti e dai possibili delatori, tanti gongolano e approvano. Brutto segno. Saremo davvero più liberi con l’anarchia per le strade? È vero che, in passato, qualche abuso si è verificato. Sto pensando ai semafori T-Red, tarati per far passare dal verde al rosso, praticamente in un nulla, che erano diventati una cassa formidabile per i Comuni. Ci volle l’acume e l’ostinazione di un carabiniere di Serie A per far chiarezza e riportare le cose al loro posto. Penso anche a tanti dossi artificiali, che mettono a rischio la tenuta delle parti meccaniche dell’auto, a meno che non ce se ne accorga in tempo. Il rischio è reale per i mezzi, ma lo è anche per le persone. Il morto ci è già scappato e dovrà essere il buonsenso a far sì che siano davvero funzionali a rallentare la velocità, senza diventare un pericolo pubblico.
E comunque agli “eroi” del flessibile va ricordato che le loro gesta, oltre a distruggere gli autovelox, fanno fuori per primo il senso della legalità, incrementando una crescente indifferenza per il bene comune. E quando saremo tutti degli Hamilton da Ferrari, quel giorno non saremo certo più civili e, tantomeno, al sicuro.
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