Il Fatto di Bruno Fasani
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Cittadinanza “facile”? Realtà e numeri dimostrano il contrario

Sul tema della cittadinanza, all’interno del governo, se la contano e se le cantano. A cominciare soprattutto dalla Lega che, contro la proposta Tajani dello jus scholae (il completamento di cicli scolastici, ndr), ha messo in campo Salvini, con la protesi Vannacci che lo fa sentire pronto per le Olimpiadi, a mostrare tabelle e tabelline per dire, dati alla mano, che l’Italia è il Paese con il più alto numero di riconoscimenti di cittadinanza in Europa. Quindi niente ulteriore allargamento. I riconoscimenti sono anche troppi e non c’è bisogno di dare spazio ad altri “italiani finti”.

Parole chiave: Il Fatto (432), Bruno Fasani (341), Cittadinanza (5)
Cittadinanza “facile”? Realtà e numeri dimostrano il contrario

Sul tema della cittadinanza, all’interno del governo, se la contano e se le cantano. A cominciare soprattutto dalla Lega che, contro la proposta Tajani dello jus scholae (il completamento di cicli scolastici, ndr), ha messo in campo Salvini, con la protesi Vannacci che lo fa sentire pronto per le Olimpiadi, a mostrare tabelle e tabelline per dire, dati alla mano, che l’Italia è il Paese con il più alto numero di riconoscimenti di cittadinanza in Europa. Quindi niente ulteriore allargamento. I riconoscimenti sono anche troppi e non c’è bisogno di dare spazio ad altri “italiani finti”.
Effettivamente, guardando ai numeri, verrebbe da dare loro ragione, almeno da un punto di vista algebrico. L’Italia, per stare agli ultimi dati ufficiali, quelli del 2022, ha concesso 214mila certificati di cittadinanza, a fronte dei 182mila della Spagna, i 167mila della Germania e i 114mila francesi. Però i numeri, si sa, sono come certe cassette di frutta, dove la bellezza di quella in vista nasconde le magagne di quella coperta. In questo caso, la magagna è rappresentata dal fatto che delle 214mila cittadinanze concesse, meno di un terzo sono quelle date a chi arriva dall’Africa o dai Paesi della disperazione. La stragrande maggioranza sono documenti concessi ad albanesi, a cittadini del resto d’Europa e del Sud America, moltissimi di questi discendenti da emigranti italiani partiti per le Americhe in cerca di fortuna.
A questo bisognerebbe poi aggiungere il fatto che molti Paesi europei la cittadinanza la danno automaticamente e quindi non rientra nei dati pubblicati. Per esempio in Germania, il figlio di immigrati che nasce da genitori residenti nel Paese da almeno cinque anni, è automaticamente cittadino tedesco, che non ha pertanto bisogno dello jus scholae. Legislazioni analoghe vigono in Irlanda, Portogallo, Belgio… In Francia diventi cittadino francese al compimento del 13° anno, se sei nato lì e vi abiti da almeno otto anni. In Spagna, a chi nasce da genitori stranieri, bastano 365 giorni per diventare spagnolo a tutti gli effetti. Oggi nel nostro Paese si può richiedere la cittadinanza al compimento del 18° anno, dopo almeno dieci anni di residenza nel Paese, per aspettare poi un certificato che, visti i tempi della burocrazia, spesso si protrae all’infinito.
Perché dare la cittadinanza a un ragazzo dopo tot anni di scuola, si domanda la Lega? E perché non darla, chiedo io? Solo perché poi andranno a votare? Temo che la ragione primaria della chiusura leghista sia proprio questa, sapendo bene, gli amici del Carroccio, che la loro politica anti-immigrati faticherebbe a portare a casa bottino dentro le urne. Poi si tira in ballo l’identità nazionale e il pericolo che tra un po’ non saremo più un Paese cristiano, con le nostre belle tradizioni e i nostri valori… Motivazione nobile quanto ipocrita. Sanno tutti, anche i sassi, che il venir meno della nostra identità non dipende da chi viene da fuori, ma dalla debolezza di come viviamo noi la nostra cultura, religiosa o laica che sia. Se l’islam si allarga non è colpa degli immigrati, ma di chi ha deciso che andare in chiesa è un retaggio da sottocultura.
Il riconoscimento dello jus scholae domanderebbe piuttosto una riflessione seria sulla qualità di quanto si insegna ai ragazzi oggi nella scuola. Siamo sicuri che li stiamo formando ad una cultura di conoscenza della Costituzione italiana, dei principi fondanti la nostra civiltà, di un senso civico di appartenenza al bene comune? Il pericolo di contaminazione della nostra identità non è un virus che viene da fuori, portato dagli stranieri, ma la fragilità di chi, italiano, dovrebbe sentirsi ed essere tale.

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