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Dal Pakistan alla laurea «nella mia città»

di ADRIANA VALLISARI
La storia di una ragazza che non sapeva una parola d’italiano. Poi la scuola, il Cestim... 

Dal Pakistan alla laurea «nella mia città»

di ADRIANA VALLISARI
«Ho detto a mia sorella: devi firmare anche tu per chiedere il referendum sulla cittadinanza!». Voce limpida, sguardo deciso, la ventiseienne Zainab Kouser è una dei tanti figli di immigrati che hanno studiato in Italia, parlano perfettamente la nostra lingua e, alla parola “casa”, associano Verona. Una giovane nata in Pakistan, che non capisce perché, a differenza di molti altri Paesi, l’Italia non voglia riconoscerle la possibilità di definirsi cittadina dello Stato in cui vive, studia, lavora e sogna di restare. Ecco perché ha partecipato, come altre centinaia di migliaia di persone finora, alla raccolta firme promossa dal deputato Riccardo Magi, che è arrivata a quota 500mila cosicché il referendum può essere indetto. 
Di riforma della cittadinanza si parla ormai da 25 anni, ma senza risultati concreti. Quest’estate, complici le Olimpiadi con tanti atleti e atlete italiani che però italiani sui documenti non sono, la politica è tornata a occuparsene con più slancio; in particolare l’apertura di Forza Italia, che siede nel Governo Meloni, ha riportato in auge lo ius scholae, legando cioè l’acquisizione della cittadinanza alla frequenza di un ciclo di studi nelle scuole italiane. 
Perché il punto è questo: come mai un milione di giovanissimi che frequentano le nostre classi – molti dei quali nati in Italia da genitori stranieri – non hanno la cittadinanza e non possono godere degli stessi diritti dei loro compagni italiani? 
È un tema che fa vibrare la voce di Zainab: sia perché le fa rivivere il difficile percorso che l’ha portata a diplomarsi a Verona, sia perché da grande sogna di diventare un’avvocata e le ingiustizie proprio non le digerisce.
«Sono favorevole allo ius scholae, non vorrei che qualcun altro passasse quello che ho vissuto io; con la mia famiglia siamo in contatto con i pakistani che vivono in Australia o in America: gli unici che hanno problemi con la cittadinanza siamo noi, qui la legge è molto restrittiva – sottolinea –. Io sono uscita dalle superiori conoscendo la lingua, sapendo gestirmi e ben inserita nella realtà veronese: l’unica cosa che mi bloccava era la cittadinanza, che mi ha anche fatto perdere un lavoro, il primo per l’esattezza. Avevo inviato il mio curriculum e alla selezione mi è stato chiesto se avessi un permesso di soggiorno a lunga scadenza, perché la policy aziendale lo richiedeva: ma nessuno, minorenne e studente senza reddito e senza lavoro, ce l’ha, tocca rinnovarlo ogni due anni». 
Così hanno fatto Zainab e i suoi fratelli e sorelle – lei è la seconda di sei figli, 4 femmine e due maschi – mettendosi in coda davanti alla nostra Questura, sotto la pioggia o il sole, per fare la fila. E poi fornire i documenti e rinnovare il permesso di soggiorno per altri due anni. 
«Non mi ci faccia pensare, che incubo quell’attesa a bordo strada...», sussurra. «Io dopo 10 anni di residenza qui ho finalmente il permesso di soggiorno di lungo periodo: adesso, che sono passati 11 anni da quando sono venuta a vivere a Verona, posso fare la domanda per la cittadinanza italiana, richiedendo altri documenti all’Ambasciata del mio Paese a Milano; mio papà, che vive in Italia da vent’anni, l’ha fatta due anni fa, ma è ancora in attesa di sapere se verrà accolta». 
È stato proprio il padre ad aprire la strada verso l’Europa, racconta ancora la giovane, che vive a San Felice Extra con la numerosa famiglia. «Quando sono nata, lui non c’era – spiega –. Mio papà fa il muratore, come suo padre, e ha cambiato diversi lavori e Paesi: prima di arrivare in Italia è stato in Grecia e in Arabia Saudita; ama molto viaggiare, ha una mente aperta e, come molti altri asiatici, voleva provare nuovi luoghi e culture, in particolare europee». 
Zainab è arrivata in Italia nel settembre del 2013, con un ricongiungimento familiare. «Non siamo fuggiti da guerre o da privazioni di libertà, i miei genitori ci hanno portato qui per cercare di migliorare il nostro futuro»; in Italia oggi ci sono anche gli zii di Zainab, che è tornata in Pakistan per la prima volta lo scorso anno, dopo che l’aveva lasciato a soli 15 anni. «È stato strano, non ricordavo quasi più niente della mia infanzia; pensavo: devo tornare a casa, e casa era Verona», aggiunge. 
Ad aprile scorso Zainab si è laureata all’Università di Verona, in Scienze dei servizi giuridici, prendendo 102 su 110. Ora si è iscritta a Giurisprudenza a Trento, al quarto anno di corso, che frequenterà da pendolare; nel frattempo, continua a lavorare 4-5 ore al giorno come commessa, per pagarsi le tasse universitarie e non gravare sulla famiglia. «Ho un obiettivo chiaro in testa e intendo raggiungerlo», dice questa giovane donna futura avvocata, a cui la grinta non manca. «Noi figli siamo cresciuti sentendoci raccomandare da mio papà di essere educati con tutti e di non preoccuparci per i soldi, ma di studiare finché avessimo voluto: è stata una grande libertà», spiega. 
Per un’adolescente straniera, come lei, non è stato facile però apprendere da zero l’italiano. «I primi due anni sono stati il periodo buio della mia vita: ho fatto la terza media serale e nel 2015 sono entrata al “Pasoli” per studiare ragioneria; mia sorella maggiore e io sapevamo dire solo “ciao” e “sì”, non capivamo nulla – ricorda –. Abbiamo vissuto malissimo l’inserimento: venivamo da un Paese lontano, da una cultura diversissima, eravamo pure musulmane... Qualsiasi frase leggessimo, sbagliavamo e venivamo prese in giro: a casa, ogni sera, volevamo solo piangere. Mia sorella non ha retto e ha mollato la scuola, io non so come ho fatto ad andare avanti in prima e seconda: la mia salvezza è stata incontrare sempre qualcuno che ha avuto fiducia in me, che mi ha guidato e mi ha detto “puoi farcela”». 
La sua insegnante di italiano, per esempio, che le dava lezioni ogni pomeriggio e le commissionava dei temi, portandola ad amare la letteratura italiana. Ma pure i volontari del Cestim, che l’hanno aiutata a destreggiarsi in una lingua nuova. «Sono stati la mia salvezza: sia quando entravano a scuola, sia al doposcuola che ho frequentato al “Nani Boccioni” e nei corsi estivi, che mi hanno permesso di farmi tanti amici e di trovare un ambiente accogliente», sottolinea. «Hanno aiutato i miei fratelli e tanti ragazzi che ho indirizzato lì: per sdebitarmi, ho fatto la volontaria anch’io per un periodo, seguendo degli studenti pakistani arrivati da pochi mesi in Italia, come me dieci anni fa», dice. 
«Al Cestim, con gli insegnanti e coi vicini di casa, o fra gli anziani al parco, mi sono sentita accolta: ho avuto la fortuna di trovare sempre qualcuno che mi desse un incoraggiamento nel momento del bisogno e anche in famiglia sono stata sostenuta», conclude questa ragazza d’oro. È la prima laureata della sua famiglia, orgoglio di mamma e papà, conosce benissimo l’inglese, l’urdu, l’italiano, parla il tedesco e l’indiano e sa leggere persino l’arabo. Chi potrà mai fermarla? Speriamo non la nostra rinomata burocrazia. 

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