Quando la visione di un film era un fatto comunitario
Sale non ancora rimodernate, seggiole pieghevoli di legno, scricchiolii degli immancabili ritardatari, sempre i soliti. Lo schermo fatto con un lenzuolo, il diffusore audio, la cabina e il rollio della macchina a carboni... Per decenni l’incontro col cinema è stato questo, prima dell’audio surround, delle poltroncine anatomiche, dei posti fissi, delle multisale con pochi spettatori per sala. Due modi di andare al cinema, di concepire il cinema.
Sale non ancora rimodernate, seggiole pieghevoli di legno, scricchiolii degli immancabili ritardatari, sempre i soliti. Lo schermo fatto con un lenzuolo, il diffusore audio, la cabina e il rollio della macchina a carboni... Per decenni l’incontro col cinema è stato questo, prima dell’audio surround, delle poltroncine anatomiche, dei posti fissi, delle multisale con pochi spettatori per sala. Due modi di andare al cinema, di concepire il cinema.
Anni ’60, ’70, ’80, poi la crisi e l’urto delle multisale diventa insostenibile: chiudono gloriosi cinema di paese e di quartiere che avevano fatto storia. Penso solo al Capitol di Bussolengo. Si scioglie come neve al sole il circuito cinematografico delle parrocchie, tenuto insieme dalle pellicole delle suore Paoline e del Centro diocesano cinematografico del mitico don Alfiero Luigi Fagnani (1926-2007), già economo del Seminario.
Eppure chi ha frequentato i cinema in quegli anni ne riporta ricordi vivissimi, rammentando le discussioni guidate dal relatore della serata scelto col bilancino all’interno del programma: tanti alla Dc, tanti al Pci, tanti all’area radical socialista... E poi, immancabilmente, don Domenico Romani con la squadra di esperti del Centro Mazziano e Mario Guidorizzi in prima fila a disquisire dello “specifico filmico”. Ci stavano tutti e mi accorgo ora che scriverne è preistoria d’Italia, senza telefonini, computer, senza fretta, se non quella di crescere e di imparare. Intere generazioni si affacciavano alla cultura cinematografica passando dai cineforum: parte del leone ai film francesi, poi gli americani border line, e Buñuel dove lo mettiamo e Jodorowsky? Ma gli italiani ultimi, no! Discussioni su discussioni, poi il programma partiva e arrivavano i relatori, spesso dei ritorni da un anno all’altro. Cronaca bruciante, attualità e riflessione a lungo raggio: chi rompe il ghiaccio stasera? Cineforum, immagine e parola, visione e riflessione critica che arricchivano con stimoli e input, si direbbe oggi, la platea. Un mondo che non c’è più, che ha ceduto le armi ad una situazione senza parole, afona, chiusa nello stretto giro di una visione individualistica, non condivisa. Non un fuocherello che scalda, ma una fiammata che rischia di scottare, di combinare dei guai. Ecco, nel venir meno di certo spirito di comunità, anche la visione solitaria di un film può generare distonie, rotture di senso con la realtà. Tutto il contrario di quello che avveniva ad ogni cineforum: la ricerca di senso, il non accontentarsi delle apparenze dello spettacolo, del racconto filmico. Insomma: cosa avrà voluto dire il regista, si chiedevano gli spettatori dei cineforum all’indirizzo di un autore che non avrebbero mai visto, supposto che, sulla parola del relatore e del distributore, c’era, eccome se c’era. Immaginazione e realtà: sogno e concretezza. Ad una certa ora basta discussioni, domani si lavora. Un limite al bla bla bla che ha fatto la fortuna, poi, dei talk show televisivi. Due mondi inconciliabili, senza nessun rapporto.
E così passavano sullo schermo i “nostri” Fellini, Rossellini, Visconti, Rosi, Petri, Monicelli, poi i francesi Truffaut, Godard, Chabrol, gli americani Huston, Mazursky, Bogdanovich, Cassavetes e tanti altri. “Il” cinema, sua maestà il cinema, attento ad una relazione speciale col mondo, visione del mondo, modo e maniera di evadere senza scappare dalla realtà. Ecco, un cinema così che racconta come siamo, quello che vorremmo, dove ci piacerebbe andare.
Una serata al cineforum, nelle sale mezzo riscaldate, è più di un ricordo: il desiderio di riguadagnare il cinema alla parola, ad un discorso condiviso, ad un pane che si spezza insieme per sognare e sperare.
All together now...
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