Arcè di Pescantina, lungo le rive dell’Adige, il buen retiro dello scrittore Luigi Meneghello
Nel suo libro più famoso, Libera nos a Malo (Feltrinelli, 1963), Luigi Meneghello (Malo 1922-Thiene 2007), mette al centro della sua riflessione la dimensione linguistica del dialetto
Nel suo libro più famoso, Libera nos a Malo (Feltrinelli, 1963), Luigi Meneghello (Malo 1922-Thiene 2007), mette al centro della sua riflessione la dimensione linguistica del dialetto. Attraverso la lente di ingrandimento del vernacolo fa emergere un microcosmo di affetti, figure indimenticabili, amori e disamori. Un mondo insomma che Meneghello riesce a far interloquire con la ormai affermata società industriale che di lì a non molto avrebbe connotato irreversibilmente il Veneto dei capannoni e delle taverne. E che l’autore stava vedendo da lontano, dal suo esilio/rifugio di Reading (Il dispatrio dedicato a questo capitolo della sua vita è del 1993), l’università inglese nella quale era approdato nel settembre 1947 e che da allora era diventata di fatto la sua residenza stabile fino al ritorno definitivo in Italia dal 2004, anno della morte della amatissima moglie Katia Bleier, ebrea jugoslava di lingua ungherese, sposata nel 1948. Ma in questo movimento a pendolo tra Inghilterra e Italia c’è anche un capitolo che ci avvicina particolarmente a Meneghello. E riguarda la frazione di Arcè di Pescantina, lungo l’Adige, “con la Valpolicella alle spalle”. A partire dal 1962, l’anno che precede l’uscita di Libera nos a Malo, lo scrittore vicentino, diventato nel frattempo direttore del Dipartimento di Studi italiani dell’Università di Reading, veniva a passare le estati e gli anni sabbatici ad Arcè, in una dipendenza della sontuosa villa Da Sacco-Albertini con giardino italiano, brolo pressoché intatto e prato inglese digradante verso il fiume. Una immagine nella fotobiografia Volta la carta la ze finìa, edita da Effigie nel 2008, in occasione del primo anniversario dalla scomparsa dello scrittore, lo ritrae con la moglie Katia Bleier mentre sorseggia un bicchiere di vino proprio ad Arcè. Erano quelli anni di successi, di viaggi, di incontri che l’autore di Libera nos a Malo registrava puntualmente negli appunti de Le Carte, pubblicati in tre volumi da Rizzoli, dal 1999 al 2001. In un passaggio (vol. I, p. 336, Bur 2009) c’è il racconto di un incontro, propiziato dalla fedele domestica Elide, datato 20 aprile 1967, col parroco di Pescantina, mons. Luigi Castagna (1936-1968) e concluso con un bicchiere di vermut, come si usava allora con le persone di riguardo in visita. Annota Meneghello: “Il parroco di Pescantina, mi dicono, è uno dei grandi lottatori cattolici dei primi tre decenni del secolo, gli avversari del modernismo ecc. È ancora pugnace, ma con più prudenza. Le masse rurali li stanno emarginando. Questo veterano è costretto ora a dir bene, un po’ a denti stretti, della presente evoluzione delle dottrine e a sopportare con buona grazia le novità pratiche che ne conseguono”. Un ritratto sbozzato al volo, ma che coglie l’essenza di quel personaggio che ha caratterizzato la vita di Pescantina per un trentennio e che sarebbe morto di lì ad un anno, nell’aprile dell’incipiente ’68. Le Carte ricordano spesso in vari passaggi la fedele domestica pescantinese, la Elide, che era anche la perpetua di don Castagna, vero e proprio tramite con la realtà del paese. Arcè, porto sull’Adige, dove anche uno scrittore cosmopolita può trovare rifugio. Un luogo, come scrive Meneghello “con la Valpolicella alle spalle e l’Adige davanti”: adatto alla scrittura, agli incontri con gli amici, alla lavorazione di intuizioni e frammenti che, messi nella macchina della sua invenzione linguistica, prendevano forza, acquistavano lucidità, rigore, bellezza ed eleganza senza pari. Così nacquero tutti gli altri libri dopo Libera nos a Malo.
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