Quando a S. Lucia si beveva l’acqua dell’Adige...
di LINO CATTABIANCHI
Un libro raccolta le vicende della frazione
di LINO CATTABIANCHI
«Mi sembrava molto bello che tante storie conosciute tramite i racconti di mio padre, di mio nonno o di tante altre persone che ho avuto la fortuna di conoscere e il piacere di ascoltare, potessero tornare alla luce!». Ecco la motivazione fondamentale che ha spinto Mariuccia Boschetti a raccogliere questi ricordi di Santa Lussia de Pol in Quando si beveva l’acqua dell’Adige, unendoli a tante altre vicende della frazione di Pescantina che si affaccia sull’Adige, ricca di storia e di tradizioni. Ma questo libro, scritto a poco a poco e risultato di una vita di indagine e ricerca, è il primo organico tentativo di dare voce alla piccola comunità di Santa Lucia, che vanta una lunga storia.
Come in un film lungo una vita, scorrono davanti al lettore i fotogrammi: Mariuccia entra nelle case di Santa Lucia e ci racconta cosa si mangiava, che importanza aveva l’Adèse nell’alimentazione quotidiana, coi magnaròni che integravano la magra dieta della maggior parte delle famiglie. E poi le figure eminenti del paese, i dottori Riccardo Desto, Cesare Girelli e Bartolomeo Lino Vaona, giovani e brai butéi che arrivavano in moto da Pescantina. La scuola era uno dei poli fondamentali della frazione, con la maestra Luisa Aldrighetti Dolci che ha tenuto nei banchi intere generazioni; e il giovane e già dinamico Lorenzo Calabrese, destinato a un grande avvenire, che veniva chiamato el maestrìn.
Giochi sul canale e in Adige, le piene e le secche, i primi amori che sbocciavano sulle rive del fiume il primo marzo. La piccola vita economica e sociale di Santa Lucia si svolgeva all’alimentari Boschetti, alle osterie della Colomba e da Segatin; e non mancavano abili esperte ricamatrici e sarte come la mitica Colomba, che sedeva sull’uscio, quasi una immagine leopardiana da “sabato del villaggio”, a tessere i suoi disegni sulla rete. In ogni paese che si rispettava arrivavano gli ambulanti, ma il più atteso era Gigeto, quello dei gelati e dei “bolognini”, fatti di soffice pasta di marzapane farcita con crema pasticcera rosa e bianca. Gelati da 10 lire la pallina contro uova fresche: era questo spesso il pagamento delle mamme per i gelati dei loro bambini. Lunga la storia di Santa Lucia raccontata da Mariuccia per la costituzione della parrocchia autonoma da Pescantina, con l’arrivo di don Raffaele Morandin nel 1946, come giovane curato inviato a Santa Lucia da mons. Luigi Castagna.
Nel 1949 finalmente fu emanato il decreto dal vescovo di Verona, Girolamo Cardinale e don Morandin venne ad abitare stabilmente nella nuova canonica vicina alla chiesetta. Poi nel 1953 l’avventura della nuova chiesa, iniziata da don Raffaele, che non vide ultimata la sua creatura perché morì prematuramente nel 1960. Gli succedettero don Alessandro Giusti, dal 1961 al 1966, che inaugurò la chiesa nuova; don Giuseppe Bordin, dal 1966 al 1993; don Giuseppe Mascanzoni, dal 1993 al 2008, che restaurò la chiesetta romanica e gli affreschi di Santa Lucia di Pol; don Renzo Zocca dal 2009 al 2018 e, ultimo parroco residente fino al 2022, don Massimo Malfer, prima che la parrocchia entrasse nell’Unità pastorale con Pescantina e ne divenisse titolare don Simone Bellamoli. Una miniera di informazioni e notizie di prima mano, fresche come l’acqua dell’Adige che dà il titolo alla raccolta. Uno sforzo, quello di Mariuccia, per il quale dobbiamo esserle riconoscenti. Quando si beveva l’acqua dell’Adige. Ricordi e racconti di Santa Lussia de Pol è edito da Cierre Grafica (205 pagine, 15 euro).
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