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Le “aree interne” da riconsiderare

Abbiamo scoperto l’America! Sono bastati l’attentato a Trump, la scelta di Vance come possibile prossimo vicepresidente e la rinuncia di Biden per farci diventare tutti esperti di Stati Uniti...

Parole chiave: Biden (2), Trump (12), Stati Uniti (4), America (4), Editoriale (404)
Le “aree interne” da riconsiderare

Abbiamo scoperto l’America! Sono bastati l’attentato a Trump, la scelta di Vance come possibile prossimo vicepresidente e la rinuncia di Biden per farci diventare tutti esperti di Stati Uniti. La scoperta dell’acqua calda è che l’America non è quello che succede nei grattacieli di New York, né quello che viene raccontato nei film di Hollywood, ma ciò che si respira e si vive nelle zone più “profonde”. Chi la frequenta davvero ce lo diceva già da tempo, così come papa Francesco – con uno sguardo mondiale – ricordava fin dall’inizio del suo pontificato che sono le periferie ad anticipare e a condizionare il centro, non viceversa. A volte non in senso positivo, vista una abituale mancanza di cura e attenzione.
Mentre aspettiamo cosa succederà in America, ci chiediamo: come stanno le nostre “aree interne”, così come sono state ribattezzate? Più volte ne abbiamo parlato su queste pagine, mentre il Gruppo di azione locale (Gal) Baldo Lessinia dopo le ultime elezioni locali sta “battendo il ferro finché è caldo”. Il suo appello è lottare contro lo spopolamento e l’abbandono di questi territori, anche attraverso “Futura”, ovvero il Programma di sviluppo locale 2023-2027 che vuole investire sulla valorizzazione del patrimonio locale e l’innovazione nei servizi alla popolazione.
Su questo tema si sono ritrovati negli scorsi giorni a convegno alcuni vescovi italiani, tra cui quello di Verona Domenico Pompili, che hanno evidenziato potenzialità e fragilità delle aree interne. Tre i punti più significativi del Documento finale. Primo: queste periferie possono re-insegnare al centro un modo autentico di vivere le relazioni umane in un momento storico “in cui la distanza relazionale crea vere e proprie disconnessioni umane”. Secondo: esse possono diventare un terreno in cui sperimentare politiche di accoglienza dei migranti che rappresentino un’opportunità, anziché solo un’emergenza. Terzo, più ecclesiale: da qui si può iniziare a pensare una pastorale diversa della Chiesa, meno clericale e più capace di coinvolgere le diverse vocazioni, meno legata a campanili o al “si è sempre fatto così” e più disposta a sognare pagine nuove.

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