La mitezza del “pastore tedesco”
Quando Ratzinger divenne Papa, il quotidiano il manifesto pubblicò in prima pagina, insieme alla sua foto, il titolo: “Il pastore tedesco”. Se l’espressione sotto il profilo giornalistico appariva geniale, lo scopo evidente era diffamatorio e offensivo...
Quando Ratzinger divenne Papa, il quotidiano il manifesto pubblicò in prima pagina, insieme alla sua foto, il titolo: “Il pastore tedesco”. Se l’espressione sotto il profilo giornalistico appariva geniale, lo scopo evidente era diffamatorio e offensivo. Eppure dietro gli stereotipi del “panzerkardinal”, considerato un conservatore, un reazionario, un custode delle radici medioevali della Chiesa, papa Ratzinger fu veramente un pastore, un uomo mite, innamorato della Chiesa e pronto a darle la propria vita.
Di tedesco aveva il rigore, la serietà intellettuale, la profondità di pensiero dei più grandi pensatori che quella terra ha generato negli ultimi secoli. Aveva una lucidità e una semplicità di esposizione senza uguali, dentro e fuori la Chiesa.
Già molto si è scritto su papa Benedetto. Mi permetto tuttavia di sottolineare un dialogo che, a mio avviso, ben descrive il suo approccio con la cultura moderna di cui si è detto e scritto spesso in modo superficiale e talvolta pernicioso sui giornali nazionali e locali. Sinceramente banali i tentativi di interpretare con categorie politiche e scontri tra opposte tifoserie, la successione tra papa Benedetto e papa Francesco.
Nel 2004 ci fu un simposio presso l’Accademia cattolica di Monaco con un singolare confronto tra il filosofo Jürgen Habermas e il teologo Joseph Ratzinger, sul tema “I fondamenti morali pre-politici di uno Stato liberale”. Due fra le più significative figure intellettuali contemporanee, ma anche l’incontro tra due diversi mondi culturali: il pensiero liberale post secolare e la tradizione cattolica.
Habermas riconobbe al linguaggio di fede la capacità di custodire ed esprimere “ragioni” che il discorso pubblico non possiede e non può ignorare. Ratzinger dal canto suo sottolineò la necessaria correlazione tra ragione e fede: «Hanno bisogno l’una dell’altra e devono riconoscersi l’un l’altra». In quell’occasione il cardinale espose alcuni temi di particolare rilevanza che val la pena riprendere anche per la Chiesa di oggi.
Anzitutto il tema del rapporto tra fede e cultura moderna. A partire dal fatto che all’inizio dell’essere cristiano – come poi scrisse nella Deus Caritas est – non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva; che il Vangelo e l’evangelizzazione non si identificano certo con la cultura e sono indipendenti rispetto a tutte le culture; rimane il fatto che una fede che non diventa cultura è «una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». Il Regno che il Vangelo annuncia, è vissuto da uomini intimamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. La difficoltà di molti cristiani giovani e adulti nel vivere la propria fede oggi, è legata all’abbandono di un progetto culturale.
In secondo luogo il rapporto tra fede e ragione. Di fronte ad una fede senza ragione che conduce alla violenza, come accade nel fondamentalismo, il Papa disse che «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio». Al tempo stesso, a fronte di una ragione senza fede, che preclude pregiudizialmente l’apertura al Trascendente e che rischia di ridursi a ragione procedurale, Ratzinger invitò a superare l’«autolimitazione moderna della ragione» operando un «allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa».
L’eredità che Benedetto XVI lascia alla Chiesa e all’intera umanità, è che l’incontro tra fede e ragione, tra ricerca di senso e ricerca di fede avviene nella ricerca della verità. E commentando sant’Agostino in un’omelia del 2012, disse: «La verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede. Solo se ci lasciamo guidare e muovere da lei, rimaniamo in lei; solo se siamo, con lei e in lei, pellegrini della verità, allora è in noi e per noi».
E da ultimo il suo amore per la Chiesa. Quando gli è stato chiesto se si vedeva come l’ultimo Papa del vecchio mondo o come il primo del nuovo, papa Benedetto ha risposto: «Entrambi. Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato». Nella sua lucida interpretazione del futuro, Ratzinger rimaneva radicato nella storia senza ignorare gli aspetti conflittuali che si stavano preparando anche dentro la Chiesa. «A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico… ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte».
Renzo Beghini
Presidente Fondazione Toniolo
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