Premessa e prefazione alla Città di Dio
Agostino stesso ha scritto la premessa e la prefazione alla sua opera colossale denominata Città di Dio. Presento la premessa in ulteriore sintesi rispetto all’originale e in terza persona, là dove Agostino scrive alla prima persona, ovviamente...
Agostino stesso ha scritto la premessa e la prefazione alla sua opera colossale denominata Città di Dio. Presento la premessa in ulteriore sintesi rispetto all’originale e in terza persona, là dove Agostino scrive alla prima persona, ovviamente. Eccone il contenuto: La devastazione di Roma messa a ferro e fuoco dai Goti di Alarico causò un’enorme sciagura. Gli adoratori dei molti falsi dei, i pagani, tentarono di attribuire il disastro alla religione cristiana e cominciarono a insultare il Dio vero con assurda violenza. Per questo motivo, ardendo dello zelo della casa di Dio, Agostino ha stabilito di scrivere i libri La città di Dio contro questi insulti perché sono errori. L’opera lo tenne occupato per parecchi anni, oltre dieci, e fu portata a termine in 22 libri, detti quaderni (la ragione per cui sono detti quaderni dipende dal loro formato. Ogni libro infatti è composto di quattro fogli grandi ripiegati e uniti insieme, equivalenti a 32 pagine. Se moltiplichiamo trentadue pagine per 22 libri il risultato è di 704 pagine. Per questo Agostino suggerisce al suo amico Firmo, al quale ha inviato l’intera opera nel 426, di farne possibilmente cinque volumi; il primo di cinque libri, il secondo di cinque libri, il terzo, il quarto e il quinto ognuno di quattro libri). I primi cinque libri confutano coloro i quali vogliono la vicenda umana così prospera da ritenere necessario il culto dei molti dèi e sostengono che numerose sciagure sono capitate dopo la proibizione del loro culto. Gli altri cinque confutano coloro che sostengono che l’idolatria è utile in vista della vita che verrà dopo la morte. Seguono gli altri dodici libri, dei quali i primi quattro illustrano l’origine delle due città, quella terrena e quella di Dio; i quattro libri dal 15 al 18 analizzano il loro sviluppo; gli ultimi quattro focalizzano i loro fini propri.
Merita poi una speciale attenzione la Prefazione, che riporto per intero e in prima persona. L’opera era stata sollecitata dal commissario imperiale Marcellino, suo amico personale, finché Agostino fu costretto a cedere, pur prevedendo un impegno quasi sovrumano. Marcellino morirà prima di vedere l’opera terminata: “Figlio carissimo, Marcellino, intrapresa quest’opera dovuta a te per una mia promessa, ho dato inizio ad un’opera grande e ardua, ma Dio è nostro aiuto. E l’ho scritta per difendere la gloriosissima città di Dio, sia in questo corso del tempo vivendo di fede, mentre è peregrinante fra gli empi, sia in quella stabilità della sede eterna che ora aspetta nella pazienza. Fino a quando cioè la giustizia non si trasformi in giudizio, che successivamente raggiungerà grazie alla superiorità con la vittoria definitiva e la pace perfetta, nei confronti di coloro che al Creatore preferiscono i loro dei. So infatti di quali risorse bisogna disporre per persuadere i superbi su quanto grande sia la virtù dell’umiltà. È grazie ad essa che l’altezza non usurpata dall’orgoglio umano ma donata dalla grazia divina trascende tutte le grandezze terrene oscillanti per la mobilità terrena.
In effetti, il re e creatore di questa città di cui abbiamo stabilito di parlare, nella Scrittura del suo popolo rese manifesta una sentenza della divina legge per mezzo della quale è stato detto: ‘Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili’… Per cui (ho deciso di parlare) anche della città terrena. Quando essa tende a dominare, anche nel caso in cui i popoli siano asserviti, la stessa libidine di dominare ha il sopravvento su di essa”.
Agostino intraprende dunque l’opera con grande senso di responsabilità e per puro amore alla Chiesa che veniva vituperata dai pagani. Da notare che fa ricorso frequente al termine libidine, già usato nelle Confessioni. Con questo termine sta ad indicare una incontenibile bramosia che spazia dalla sessualità, al potere, alla sete di denaro e di gloria.
† Giuseppe Zenti
Vescovo di Verona
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